L'amministrazione Biden non ha fatto mistero del suo desiderio di migliorare l'accesso degli USA ai minerali critici e di diversificare le sue catene di approvvigionamento lontano dall'influenza cinese. Una delle aree dello scacchiere geopolitico su cui si concentra la competizione tra Cina ed Stati Uniti è l’Africa, in una competizione il cui scopo spesso è finalizzato, più che al controllo delle tecnologie essenziali per la transizione energetica, allo sviluppo dell’industria bellica.
Un attore emergente tra i due contendenti è la Repubblica Democratica del Congo (RDC) dove gli USA cercano di indebolire la presa che Pechino ha sulle risorse del Paese: circa l'80% dell'industria del rame e del cobalto del Paese è in mani cinesi.
Il BRIDGE to DRC Act è un’iniziativa bipartisan del Congresso statunitense per definire una strategia nazionale tesa a sviluppare le catene di approvvigionamento degli Stati Uniti che coinvolgono minerali critici provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo.
Ad integrare l’efficacia dell’impegno legislativo il Dipartimento del Tesoro USA ha recentemente rivisto le strategie di applicazione delle sanzioni al fine di modernizzarle e renderle più efficaci sollecitando un quadro politico strutturato che colleghi le sanzioni a un chiaro obiettivo politico.
E l’obbiettivo politico dell'amministrazione Biden è l’accesso ai metalli critici della RDC ed il contrasto alle attività della Cina in quel Paese e questa volta pare che le sanzioni statunitensi possano raggiungere gli obiettivi sia economici che geopolitici prefissati: la vicenda Gertler potrebbe diventare un modello per il futuro.
Dan Gertler è un miliardario israeliano che ha acquisito, con modalità ritenute fraudolente, licenze minerarie e petrolifere dal governo della RDC o da società minerarie statali, che ha successivamente venduto a società multinazionali e talvolta anche allo stesso governo congolese, realizzando enormi profitti. Secondo il Dipartimento del Tesoro USA le operazioni di Gertler hanno generato in soli due anni più di 1,36 miliardi di dollari di perdite per la RDC. Nel 2017, l’amministrazione Trump ha sanzionato Gertler per corruzione, bandendolo dal sistema bancario statunitensi.
A seguito di un memorandum d'intesa dello scorso anno tra Gertler e il governo della RDC, l’ex presidente Felix Tshisekedi ha chiesto ufficialmente a Washington la fine delle sanzioni statunitensi.
L'allentamento delle sanzioni statunitensi consentirebbe la vendita di attività attualmente sanzionate ad imprese statunitensi che potrebbero accedere a nuove opportunità investendo in progetti minerari che oggi hanno legami con Gertler, aumentando la penetrazione economica degli Stati Uniti nella RDC.
Un’ipotesi vede Mercuria, uno più grandi trader di materie prime al mondo, come partner ideale per gli USA per l'acquisizione di miniere di rame-cobalto nella Repubblica Democratica del Congo in caso di revoca delle sanzioni a Gertler.
La strada per raggiungere l’accordo passa per la rinuncia del miliardario israeliano a tutti i suoi investimenti in Congo, la chiusura del suo rapporto con Metalkol e la decisione dei proprietari kazaki di ERG a vendere le miniere congolesi.
Non è una pratica usuale per il Governo statunitense intervenire in modo diretto nei progetti minerari internazionali ma pare destinata a diventare una nuova normalità.
E’ di questi giorni infatti un nuovo intervento di Washington per impedire che le miniere congolesi di rame e cobalto di Mutoshi a Kolwezi, nella provincia di Lualaba, ed Etoile a Lubumbashi, in quella di Katanga, finiscano nella disponibilità di Norin Mining Ltd., una sussidiaria del colosso statale della difesa cinese China North Industries Corporation, anche noto come Norinco, il principale fornitore di armi e attrezzature dell'esercito cinese.
Il cobalto e il rame sono metalli vitali per le attrezzature militari: vengono utilizzati nelle superleghe per i jet da combattimento, nonché nei cablaggi e nelle munizioni. Un rapporto delle Nazioni Unite ha rilevato che Norinco era tra le aziende cinesi che avevano fornito armi al Congo tra il 2015 e il 2019 e dal 2020 il Tesoro degli Stati Uniti vieta alle società o agli individui americani di possedere azioni di Norinco.
Sullo sfondo rimangono le strategie per il controllo di un mercato, quello africano delle armi, che ha un ruolo significativamente superiore a quello che viene attribuito alla transizione “ecologica” in quel Continente.
L'ascesa di nuovi conflitti e insurrezioni nel Continente Africano produce crescenti opportunità di business per i trafficanti di armi cinesi soprattutto ora che la Russia, storicamente il principale fornitore di armi per l'Africa, ha ridotto la sua capacità a causa della guerra in Ucraina, aprendo la porta ai produttori di armi cinesi, tra cui Norinco, desiderosi di aumentare la loro quota di mercato a spese delle aziende russe.
Norinco, in particolare, è stata in prima linea negli sforzi della Cina per costruire ed espandere i legami militari e di sicurezza in Africa occidentale, specialmente nelle ex colonie francesi: la società cinese fornisce a quei paesi corazzate, navi da pattugliamento offshore, sistemi di difesa aerea portatili, elicotteri, veicoli aerei senza pilota (UAV), veicoli corazzati, carri armati, aerei da combattimento (jet e addestratori), artiglieria di grandi dimensioni e aerei da trasporto.
Da qui l’impegno del Governo USA per impedire a Norinco di aumentare il suo accesso alle risorse congolesi inserendosi nelle trattativa in corso.
Nel 2022 Trafigura ha concesso un prestito di 600 milioni di dollari a Chemaf Resource Ltd., una società mineraria congolese, per finanziare lo sviluppo delle due miniere, Mutoshi ed Etoile, in cambio dei diritti di commercializzazione del suo idrossido di cobalto. Ma l'aumento dei costi e il calo dei prezzi del cobalto hanno bloccato i piani dell'azienda e lo scorso ottobre, Chemaf ha dichiarato che il suo debito ammontava a 690 milioni di dollari, di cui 510 milioni di dollari provenienti dalla sua linea di credito Trafigura che nel frattempo stava rivolgendosi al Governo degli Stati Uniti per trovare acquirenti.
Tuttavia, per quanto nessuno dei tentativi degli Stati Uniti sia riuscito nella vendita di quegli asset nel frattempo la compagnia mineraria statale congolese Gécamines, che di fatto controlla tutte le concessioni minerarie della RDC, ha bloccato la vendita di Trafigura a Norin Mining Ltd..
L’opposizione di Gécamines alla vendita non è un fatto nuovo per la compagnia che solitamente sfrutta ogni situazione per negoziare le concessioni o rivedere le sue royalties. Anche se la sua decisione va in rotta di collisione con gli impegni presi dal governo del presidente Félix Tshisekedi, che aveva già approvato la vendita, da tempo Gécamines vuole assumere maggior controllo nella commercializzazione del minerale estratto nelle sue concessioni e con l’attuale presidente Lukama sta valutando ogni possibile opzione. Niente di nuovo in realtà: già oltre un anno fa il ministro delle Finanze del governo Tshisekedi, Nicolas Kazadi aveva spiegato come, per quanto la Cina fosse un attore molto importante a livello mondiale per qualsiasi paese, non era nel loro interesse “mettere tutte le uova nello stesso sacchetto”.
Questa vicenda rappresenta plasticamente il diverso approccio tra Occidente e Cina alle catene di approvvigionamento delle materie prime: per Pechino incarnano sia la logica del capitale che quella dello stato, che è guidato da una serie di imperativi onnicomprensivi, che includono la realizzazione di profitti, l’estensione dell’influenza politica e diplomatica del Paese e l’accesso a minerali strategici. In aperto contrasto con gli obiettivi della massimizzazione del profitto che muove la logica delle compagnie minerarie globali.