Da responsabile della cassa del Comando, per cinque anni avrebbe sottratto via via somme di denaro fino a guadagnarsi un profitto extra di oltre 90 mila euro.
Era l’unico detentore della chiave della cassa corrente, l’unico ad avere libero accesso agli archivi della direzione, e ancora l’unico a poter visionare l’elenco cartaceo delle spese di quegli uffici.
Ora il primo luogotenente Martino Del Pozzo, 56 anni, salernitano di nascita ma residente a Villafranca Padovana, in forza alla Direzione di Intendenza del Comando Forze operative Nord dell’Esercito di Padova, è stato condannato dalla Corte dei Conti al pagamento di una somma pari a 104.832, 55 euro, a titolo di risarcimento verso il Ministero della Difesa.
Buona parte di quella cifra è rappresentata dalle risorse che il militare, in almeno un quinquennio, ha distratto dalle casse dell’Esercito. Il 56enne è stato peraltro indagato dalla Procura militare di Verona per il reato di peculato militare pluriaggravato.
È il 4 gennaio dello scorso anno quando il capo della gestione finanziaria del Comando di Prato della Valle, terminati gli opportuni accertamenti, ha inviato alla Procura della Corte dei Conti la denuncia che accusa il luogotenente Del Pozzo di aver distratto fraudolentemente, nell’arco del quinquennio 2017-2022, somme di denaro per 92.604,44 euro.
In tre mesi, un’apposita commissione interna all’Esercito ha chiarito come quel denaro fosse effettivamente stato sottratto del militare.
È infatti emerso che Dal Pozzo, l’unico ad aver accesso alla cassa corrente degli uffici, aveva prelevato quelle somme emettendo mandati di pagamento informatici validati dallo stesso luogotenente, senza autorizzazione e sottoscrizione da parte del responsabile del servizio amministrativo e del capo della gestione finanziaria. Senza il controllo dei superiori, dunque.
Tecnicamente, Del Pozzo «aveva operato movimenti figurativi di pari importo sulle applicazioni “Conto transitorio” e “Fondo Scorta” affinché tali uscite non comparissero nel registro delle partite di cassa», chiarisce la Corte dei Conti.
In soldoni, per ogni movimento illecito era omesso il nominativo del beneficiario nei vari registri; inoltre ogni partita contabile, accesa in un conto transitorio, era chiusa in un termine utile a non generare dati da sottoporre a controllo e rendicontazione.
Ancor più semplicemente: ogni prelievo di denaro – perché in questo Del Pozzo si appropriava dei soldi – non era supportato da una quietanza – ad esempio, un modello 121-T emesso dalla Tesoreria – o da documenti che ne comprovassero l’effettivo incasso da parte di un creditore avente titolo.
Il luogotenente prelevava principalmente in media dai 3 ai 6 mila euro alla volta, arrivando però a rubarne in un solo colpo anche 12 mila, e pur senza disdegnare prelievi intorno ai mille euro. Lo faceva quasi ogni due mesi, con lunghe pause durante l’estate.
Oltre ai soldi sottratti dalle casse dell’Esercito, al luogotenente è stato anche contestato il tempo utilizzato per compiere quegli illeciti: energie distolte dal lavoro per cui era pagato, per le quali è stato chiesto un risarcimento di 12 mila euro. Contando anche le spese processuali, De Pozzo dovrà ora restituire quasi 105 mila euro.