foto da Quotidiani locali
Lucjia Matejcic, esule istriana, novant’anni, bacia la foto del marito scomparso in novembre e recita l’Ave Maria. Il rosario in legno si annoda sulla fede d’oro antica e lei sorride. «Avrebbe pianto come un bambino», racconta divertita, tutta ricurva nello scialle ricamato sulle spalle minute. «Era molto credente, entrambi lo siamo». Lucjia ascolta la messa a margine della piazza, in piedi alla sua età, rimasta senza una sedia. Eppure resiste nel caldo di luglio, difesa appena da un piccolo ventaglio. «Eccolo amore», sussurra alla tesserina plastificata, ritratto dell’uomo con cui ha condiviso più della metà della sua vita.
Il cammino di Papa Francesco fino ai sessanta metri del palco bianco attraversa le storie di più di diecimila fedeli. In attesa di affidarsi alle sue parole e incontrarlo in quel primo bacio sulla fronte al piccolo Giacomo, un anno nemmeno, stretto tra le braccia della giovane madre Chiara Longo, ventenne di Latisana. «A lui chiedo parole di speranza per noi giovani, di coraggio per credere nel futuro e creare una famiglia», aveva confidato la ragazza due ore prima, impossibile per lei anche solo immaginare quella carezza prima dell’inizio della messa.
[[ge:gnn:ilpiccolo:14455419]]
Chiara aveva visto il sole sorgere all’alba e poi alzarsi in cielo, illuminare piazza Unità proprio mentre quei grandi schermi trasmettevano il primo monito e l’invito a curare il cuore ferito della democrazia. Il popolo dei fedeli inizia a mettersi in fila di prima mattina, paziente ai varchi indicati ai margini del presbiterio. Il caldo di luglio è lenito appena dalle bottigliette d’acqua naturale e dai cappellini bianchi con il simbolo della Settimana sociale dei cattolici in Italia.
[[ge:gnn:ilpiccolo:14454986]]
Il percorso verso le sedie azzurre è coordinato dalle centinaia di volontari impegnati nelle giornate della democrazia. Joy Egwu, come la gioia, keniota emigrata in Austria, prende posto ai piedi delle Rive con lo sguardo al cielo. Attende di scorgervi l’elicottero bianco in arrivo da Roma e affidarsi alle parole del Santo Padre, ascoltarne il monito e l’invito ad «accogliere» oltre quei confini da lei attraversati via mare tanti anni prima.
«Mi sono preparata con cura, pettinata, truccata e messa l’abito buono», racconta Rita, ottantenne invalida, accompagnata sulla sedia a rotelle dalla nipote Martina, entrambe vestite a fiori ed emozionate per quel «primo incontro» con Francesco. Molto toccate da quelle parole che dedicherà alle persone malate, anziane, sole, lì anche loro con lo striscione “Casa Jeralla saluta Francesco” realizzato dalla casa di riposo sul Carso. «Molte mie amiche non possono più uscire di casa», annota Rita. «Mi hanno chiesto di salutarle dalla tivù».
[[ge:gnn:ilpiccolo:14454913]]
«È la prima volta per noi», dicono Raffaella Coreno e Gabriella Paletti, triestine, arrivate poco prima delle sette di mattina mentre la piazza iniziava lentamente a riempirsi. Amiche da più di vent’anni, ricordano di quella rocambolesca gita a San Pietro proprio per incontrare il Pontefice, ma tra ritardi e imprevisti «siamo arrivate che l’angelus era appena finito», raccontano divertite, prendendo posto in un fazzoletto d’ombra.
Molte file indietro c’è Suor Grace, giovanissima suora missionaria congolese raccolta in un abito vinaccia a pois. «Emozionata, piena di gioia», dice ridendo, pensando all’anziana madre salutata in Africa dieci anni prima e che le ha chiesto «di mandare un bacio» al Papa, alle sorelle minori, al fratello diventato da poco padre.
“Noi bambini facciamo subito la pace”, racconta il cartello disegnato da Lorenzo, otto anni, assieme ai fratelli maggiori Elena Sofia e Matteo. Il corsivo incerto di chi è appena alle elementari ma con tutta l’innocenza possibile colora a pennarelli un mondo in cui si pensa solo a giocare. «In televisione iniziano a sentir parlare di tutte le guerre che si combattono, e chiedono il perché», dice la mamma Lucia Bossi, calabrese innamorata della sua terra lasciata anni fa per lavoro.
«Il primo anno – racconta – mi veniva spesso da piangere: ma poi ci si abitua, si vive bene anche lontani». È talmente difficile, dice, trovare le parole giuste per spiegare a dei bambini quelle immagini che scorrono al telegiornale, senza ferirli né ingannarli. «Non ha molto senso», dice Lorenzo, che ha passato giorni a preparare quel cartellone per Papa Francesco. «Noi quando litighiamo facciamo subito la pace».
«L’ho incontrato anni fa, per le giornate dell’azione cattolica: ma mai così da vicino», dice Eliana De Guarrini, settantenne triestina che nell’ultima settimana ha vestito il ruolo di volontaria al servizio delle “buone pratiche”, nei villeggi e nelle piazze della democrazia, nei dialoghi e nelle tavole rotonde sociali. «Mi hanno ispirato le parole del nostro vescovo», dice, ormai pensionata ma alla ricerca di quel «senso della partecipazione», fosse anche solo aiutare a distribuire i pieghevoli con il programma delle celebrazioni. «Eccolo, eccolo!».
«Eccolo», esclama Cecilia Toniatto, friulana arrivata alla messa assieme alle amiche dell’associazionismo cattolico, con la mente rivolta a quell’amica che invece «ci ha lasciate giovane e portiamo con noi». Era in attesa fin dal primo mattino, seduta in fondo alla piazza con le antenne alzate, pronta «ad accogliere l’indirizzo che vuole darci». E poi «ringraziarlo», perché «con pazienza è arrivato fino a casa nostra, per incontrarci».
«Eccolo», avrà sussurrato anche Maria Carpatachi, la donna più anziana della città residente nella casa di riposo Ad Maiores. Nelle rughe del viso racconta delle centoundici estati passate al mare, del viaggio dall’isola di Rodi dove è nata affrontato per amore, dei cinquecento Boeing B17 che bombardavano Trieste proprio mentre lei partoriva sua figlia, quel 10 giugno 1944, con le macerie che cadevano tutt’attorno. «Eccolo», avrà detto Maria, stringendo il rosario donatole dal Papa tra le dita smaltate di rosso, di un tono freddo abbinato ai bracciali e al rossetto, e ricambiando quella benedizione con un delicato bacio sulla fronte di Francesco.
