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Elezioni in Francia, dallo choc per l’onda nera al rischio ingovernabilità: al via il voto decisivo. La sfida di Macron a Le Pen (e Mélenchon) per sopravvivere

Elezioni in Francia, dallo choc per l’onda nera al rischio ingovernabilità: al via il voto decisivo. La sfida di Macron a Le Pen (e Mélenchon) per sopravvivere

Chiunque sarà il vincitore, quello che sta succedendo in Francia non si era mai visto. “C’est du jamais vu“, dicono da una parte e dall’altra delle barricate. E basta un’espressione per riassumere lo stato d’animo di un Paese intero che affronta l’ultimo e decisivo turno delle elezioni legislative. Prima lo choc per lo scioglimento improvviso […]

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Chiunque sarà il vincitore, quello che sta succedendo in Francia non si era mai visto. “C’est du jamais vu“, dicono da una parte e dall’altra delle barricate. E basta un’espressione per riassumere lo stato d’animo di un Paese intero che affronta l’ultimo e decisivo turno delle elezioni legislative. Prima lo choc per lo scioglimento improvviso dell’Assemblea nazionale, ora la consapevolezza che ci si prepara a una lunga fase di incertezza e instabilità: in un mese scarso si è passati dal panico per l’onda nera a un passo dal potere, alla riesumazione di un fronte repubblicano che sembrava impossibile fino al rischio ingovernabilità. Una metamorfosi velocissima in uno scenario ingessato, ma al tempo stesso in continua evoluzione. Cosa avesse in testa davvero Emmanuel Macron quando ha deciso la sterzata più violenta di sempre, ancora nessuno è riuscito a decifrarlo. Ma passato il trauma collettivo, c’è da fare i conti con gli effetti di quella decisione. Da stasera la Francia avrà un nuovo Parlamento e, stando a tutti gli ultimi sondaggi, nessuna forza politica avrà la maggioranza assoluta. E si aprirà una lunga fase di trattative, negoziati e, soprattutto, una vera e propria resa dei conti. Perché dietro le sfide dei partiti, a contendersi il potere saranno tre leader, da sempre nemici giurati: solo in base al peso che otterranno le formazioni di Macron, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon potremo sapere cosa aspettarci. Il tutto mentre, fra pochi giorni, i riflettori del mondo si accenderanno sulle Olimpiadi di Parigi e i sogni di grandezza del capo dell’Eliseo si scontreranno con una realtà politica ancora imprevedibile.

La posta in gioco – La domanda cruciale è una: il Rassemblement National avrà i numeri per governare? Per ora, salvo sorprese, sembra di no. Nonostante una crescita esponenziale e un numero di deputati eletti che si preannuncia senza precedenti, la formazione del cosiddetto blocco repubblicano (ovvero le manovre per far votare tutti purché non siano esponenti RN) ha dato i suoi frutti. E i numeri schiaccianti di due settimane fa, sono ora ridimensionati. Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos per le Monde di venerdì 5 luglio, la quota di 289 deputati è un miraggio per il RN che, invece, è dato tra i 175-205 seggi. Il Nuovo Fronte Popolare della sinistra è dietro, ma di molto poco con 145-175 seggi. In crescita, rispetto alle ultime rilevazioni, anche i macroniani di Ensemble, che arriverebbero fra i 118 e i 148 seggi; e pure i Républicains senza il leader dissidente Eric Ciotti, fra i 57 e i 67 seggi. Al primo turno sono stati eletti solo 76 deputati: 38 con il RN, 32 per la sinistra, 2 per Ensemble e 1 per i Repubblicani. La partita decisiva si gioca tutta oggi. In Francia sono possibili esecutivi sostenuti da maggioranze relative. Ma se ci saranno tre blocchi, molto distanti tra loro, qualsiasi tipo di accordo sarà molto difficile. Senza dimenticare che, prima di un anno, non sarà possibile sciogliere di nuovo l’Assemblea nazionale. A meno che a dimettersi non sia il presidente della Repubblica stesso. Insomma, il rischio più concreto è e resta l’impasse.

Il sogno del partito di Le Pen – A poche ore dalla fine della campagna elettorale, uno dei leader locali del RN, Marc-Antoine Ponelle ha risposto alla domanda di Bfmtv “se il suo partito avesse sbagliato le ultime mosse”: “Non siamo mai stati così vicini alla vittoria”, ha sentenziato. E proprio quella è stata l’ansia che ha dominato la corsa di Jordan Bardella e Marine Le Pen: incoronati vincitori alle Europee e pure al primo turno delle legislative, ora si trovano a dover superare l’ultimo ostacolo. Mai la dinastia Le Pen era stata così vicina alla formazione di un governo, ma molto probabilmente non sarà abbastanza. Il delfino di Marine ha dichiarato che non intende accettare l’incarico di primo ministro se non avranno la maggioranza assoluta. Ma potrà rifiutare se sarà la prima forza all’Assemblea nazionale? La coabitazione con Emmanuel Macron, senza numeri solidi in Aula, rischia di essere ancora più complicata del previsto e, solo in quella circostanza, potrebbe realizzarsi il piano del presidente che li voleva vedere logorati. Se al governo invece, non dovessero finire, a quel punto ci sarebbe una pattuglia di opposizione enorme e agguerrita. E che potrebbe, allora sì, lanciare la campagna per le presidenziali nel 2027 di Marine Le Pen. Senza i numeri finali però, ha poco senso fare ragionamenti. Resta il fatto che gli ultimi giorni di campagna elettorale per Bardella e i suoi sono stati i più duri. Uno dei segnali di nervosismo è stato sul dibattito tv: ha fatto saltare il confronto con l’unica donna leader a sinistra, pretendendo che al suo posto ci fosse Mélenchon. Come prevedibile, non se ne è fatto niente. Poi c’è stato il ritiro di una delle sue candidate a causa di foto con un cappello nazista e la rivelazione del Canard Enchainé che ha rivelato i suoi pessimi voti all’università. Così, si è finiti per parlare del lavoro ottenuto senza la laurea per il partito e il racconto di se stesso come uomo del popolo ha ricevuto un’altra botta. Non ha aiutato Marine Le Pen che, in diretta tv, ha gridato al “golpe amministrativo” di Macron per una serie di nomine che poi si sono rivelate di routine. La leader l’ultima mossa l’ha giocata in una intervista alla Cnn, dove ha ribadito che sulla guerra intendono cambiare di passo: no alle truppe in Ucraina e no alla armi francesi contro la Russia. Ma è anche stata protagonista di uno scambio diventato virale: lei che respinge l’etichetta di “estrema destra” e la giornalista Christian Amanpour che le scoppia a ridere in faccia dicendo “stai scherzando giusto?”. Non proprio un bello spot per chi si professava contro la Nato e ora vuole mostrarsi sempre più istituzionale.

La sfida delle sinistre – Chi insegue e non ha mai smesso di crederci è il fronte delle sinistre. Se qualcuno si è stupito della possibilità che, in pochi giorni, si riunissero forze che sembravano ormai molto distanti, bisogna ricordargli l’ultima sfida delle presidenziali. Ovvero, quando l’allora candidato Mélenchon non è andato al secondo turno per soli 400mila voti. Uno smacco che ha bruciato per settimane e che i militanti per primi non hanno perdonato a una sinistra allora atomizzata. Anche per questo il Nuovo Fronte Popolare è nato in meno di cinque giorni: “Perché non potevamo farci trovare divisi davanti alla storia”, hanno scritto a decine sui social. Resta il fatto che nell’unione non mancano le sofferenze. E proprio Mélenchon è stato motivo di forza, ma al tempo stesso debolezza per la coalizione: lui il primo ad annunciare il ritiro di tutti i candidati in terza posizione per creare il fronte repubblicano, è stato anche il primo ad attaccare Macron rendendo più difficile ogni accordo. Ma il vero problema sono state le continue accuse di anti-semitismo, a causa del sostegno della sua France Insoumise alla causa palestinese. Un’accusa da sempre rispedita al mittente, ma che si è radicata in ogni dibattito ed è finita perfino sullo stesso piano della xenofobia del RN. L’insofferenza però nella coalizione, va molto oltre. E un esempio lo ha dato il candidato François Ruffin: in corsa per la rielezione da deputato, in passato era stato sostenuto proprio dagli Insoumis, ora pensa alla sua carriera (perché no anche in vista delle presidenziali) e non ne vuole più sapere. “Abbiamo avuto tre settimane difficili perché abbiamo una palla al piede. L’avete sentita. Mélenchon, Mélenchon, Mélenchon, Mélenchon come ostacolo al voto“, ha dichiarato all’Agence France-Presse. “In zone come questa, nei quartieri popolari delle province, è bloccato”. Le Europee, tra l’altro, hanno mostrato una nuova tendenza: se la France Insoumise ha fatto il 9%, i Socialisti (considerati più moderati) sono risuscitati al 13 per cento. E non a caso, Macron negli ultimi giorni ha lanciato la sua polpetta avvelenata: “Non entreremo mai in un governo con il partito di Mélenchon”. Mentre con tutti gli altri sì. Segno che il fronte unito della sinistra, dato molto in alto nei sondaggi, potrebbe scoppiare se dopo il voto si aprisse un dibattito sulla possibilità di entrare in governi moderati. E’ presto, ma i militanti, quelli che hanno battuto strade e quartieri con volantini e comizi, sono già preoccupati. “Per ora meglio non pensarci”, dicono a mezza bocca.

Il campo a brandelli del presidente della RepubblicaMacron ha ucciso il macronismo? E’ una delle domande rimbalzate sulle tv negli ultimi giorni. E di dubbi ce ne sono pochi. Almeno per il momento, il grande azzardo del presidente della Repubblica ha avuto come primo effetto quello di far esplodere la sua formazione politica. Tra i tanti psicodrammi degli ultimi giorni infatti, c’è stato anche quello del suo campo che, dopo una campagna elettorale passata a mettere sullo stesso piano estrema destra ed estrema sinistra, si è trovato a dover digerire i ritiri di suoi candidati per sostenere il blocco repubblicano. Ovvero il Nuovo fronte della sinistra con il quale non corre certo buon sangue. Nessuno stupore quindi, che ci siano state diserzioni (almeno una trentina) e dichiarazioni pubbliche di ostilità. Uno fra tutti? Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire che, intervistato in diretta, ha detto che non avrebbe mai e poi mai votato per candidati de La France Insoumise. A lui ha ribattuto la segretaria dei Verdi, presente sullo stesso plateau televisivo, che lo ha attaccato definendolo “un vile e un privilegiato”. Ma Le Maire non è stato il solo a disobbedire. Dalle riunioni di governo convocate da Macron, sono usciti ministri disorientati e innervositi da un capo “che si comporta come un maestrino”. Il blocco repubblicano però, tanto sofferto e travagliato, ha fatto comunque del bene a Ensemble. Che i sondaggi danno in crescita come numero di seggi e che potrebbe galleggiare ancora dentro l’Assemblea nazionale. Quello che è chiaro però, è che il macronismo così come l’enfant prodige della politica lo aveva immaginato non c’è più. Lui che nel 2017 è sceso in campo incantando con la sua terza soluzione al centro per far fronte agli “estremismi”, è diventato uno dei tanti leader che vanno a destra per riuscire a prendere voti agli avversari più potenti. Non ha funzionato. Tanto che ora i voti, li pescherà anche tra i moderati di sinistra che temono l’avanzata del Rassemblement National. Non proprio un successo per il capo dell’Eliseo che si racconta come grande stratega e va avanti sempre più solo. Ora, dopo il terremoto creato artificialmente, bisognerà capire se riuscirà a mettersi in salvo. Perché, anche se ha negato con tutte le forze che sia un’opzione in campo, lo spettro delle dimissioni non se ne è mai andato. E invece, come uscirà dal caos che lui stesso ha innescato, sarà determinante per la sua sopravvivenza. Anche perché forse, a quello soltanto ha pensato fin dall’inizio.

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