Per essere in reparto, all’Ospedale Civile di Venezia, alle 7, si monta sul bus a Chioggia alle 5. Se invece il turno comincia alle 13, si sale alle 10, come racconta un’operatrice socio sanitaria.
Cosa significa lavorare nella sanità da pendolare?
«Fare otto ore di lavoro quando il turno è di sei, fare mille salti mortali per conciliare la vita familiare con il lavoro e, soprattutto, affrontare l’odissea dei trasporti».
Non funzionano?
«Non ci sono mai venuti incontro per delle coincidenze tra i vaporetti e i bus. Basterebbe che questi, anziché partire a venticinque, partissero cinque o dieci minuti più tardi, in modo da riuscire a prendere il primo bus una volta finito il turno».
Un servizio ad hoc, per il personale sanitario, potrebbe essere una soluzione?
«Sì. Durante i mesi più duri del Covid, nel 2020, avevano attivato un vaporetto apposta per noi e funzionava benissimo perché le coincidenze con le corriere erano sempre garantite».
Allora il problema dei vaporetti sovraffollati di turisti non c’era, ma ora dovete convivere anche con quello.
«Esatto, motivo per cui a volte io stessa preferisco andare a Piazzale Roma a piedi, ma è una corsa unica e con un turno alle spalle si è esausti».
Trasporti che avranno anche un costo.
«La tredicesima va tutta a finire lì, è un bel costo e proprio per questo dovrebbe essere organizzato diversamente».
L’ipotesi di un trasferimento a Chioggia è percorribile?
«La graduatoria della mobilità ha ormai cinque anni, devo aspettare la prossima per inserirmi, ma è molto difficile spostarsi perché nessuno vuole venire a Venezia».
Cosa servirebbe per incentivare i lavoratori?
«Più soldi nello stipendio, un bonus una tantum non basta. Ci vorrebbero quei 350 euro in più, con cui ci paghiamo i trasporti».
E voi oss, come state?
«Siamo stremati. Il carico assistenziale è elevato, i portantini non ci sono e spetta a noi portare i pazienti a fare gli esami, ma se sei in giro non sei in reparto e loro sono i primi a risentirne». m.d.