Arundhati Roy, rinomata scrittrice indiana e vincitrice del Booker Prize, è stata recentemente insignita del prestigioso Pen Pinter Prize 2024. Il riconoscimento, conferito dalla charity inglese English PEN in omaggio alla memoria del Premio Nobel Harold Pinter, onora gli scrittori che dimostrano un’incrollabile determinazione nella difesa della libertà di espressione. Tuttavia, mentre Roy celebra questo traguardo, si trova simultaneamente ad affrontare una battaglia legale in India. Un Paese, governato da Narendra Modi, noto per le sue posizioni conservatrici e il maschilismo religioso.
Arundhati è nata il 24 novembre 1961 a Shillong, Meghalaya, da una madre attivista per i diritti delle donne e un padre gestore di una piantagione di tè. La sua carriera letteraria è decollata con il romanzo “The God of small things” (Il Dio delle piccole cose), pubblicato nel 1997 e che le ha valso il Booker Prize. Oltre alla sua produzione letteraria, Roy è nota per il suo attivismo politico e sociale, in particolare per le sue critiche aperte alle politiche del governo indiano, alle condizioni riservate alle minoranze e alla posizione subordinata della donna.
Il Pen Pinter Prize è stato conferito a Roy per la sua dedizione alla libertà di espressione e per il suo coraggio nell’affrontare temi controversi. Tuttavia tale onorificenza arriva in un momento di grande tensione che, ammesso non direttamente collegato, è stranamente vicino nel tempo. Il 15 giugno 2024 il Governatore Luogotenente di Delhi, V.K. Saxena, ha autorizzato la prosecuzione di Roy per un discorso tenuto nel lontano 2010 riguardante il separatismo in Kashmir. Le sue parole, considerate provocatorie, sostenevano che il Kashmir non fosse mai stato parte integrante dell’India, una dichiarazione che ha portato a accuse di sedizione e incitamento al terrorismo
Il primo ministro Narendra Modi, leader del Bharatiya Janata Party (BJP), ha spesso adottato politiche che molti critici ritengono mirate a soffocare il dissenso e a consolidare un’ideologia nazionalista indù. Modi, pur dichiarandosi democratico, ha guidato un governo che è stato accusato di repressione delle minoranze e di limitazione della libertà di espressione.
L’Unlawful Activities (Prevention) Act (UAPA), sotto il quale Roy è stata incriminata, è una legge antiterrorismo che permette alle autorità di detenere sospetti fino a 180 giorni senza accuse formali. La legge è stata modificata nel 2019 in modo da permettere la classificazione di individui come terroristi senza doverli collegare a specifici gruppi.
Arundhati Roy, con il suo passato di attivismo e critica aperta del governo Modi, è una figura polarizzante in India. La decisione di perseguirla per un discorso di 14 anni fa è stata vista da molti come un tentativo di zittire una delle voci più influenti e coraggiose del Paese. Durante il suo intervento nel 2010 Roy ha dichiarato che il Kashmir era stato forzatamente occupato dalle forze armate indiane, un’affermazione che ha alimentato le accuse di sedizione.
La denuncia è stata presentata da Sushil Pandit, un attivista del Kashmir, che ha accusato i partecipanti all’evento di promuovere la separazione del Kashmir dall’India. Anche al tempo del discorso le autorità di Delhi avevano considerato la possibilità di incriminare Roy per sedizione ma solo ora, sotto l’amministrazione Modi, le accuse sono state formalmente portate avanti.
La decisione di autorizzare la prosecuzione di Roy ha suscitato forti reazioni da parte di accademici, attivisti e politici. Più di 200 tra intellettuali e giornalisti indiani hanno firmato una lettera aperta esortando il governo di Delhi a ritirare le accuse. Politici dell’opposizione, come Mahua Moitra del Trinamool Congress, hanno condannato la mossa come un esempio di fascismo, un tentativo di dimostrare che il BJP è ancora potente nonostante la sua recente sconfitta elettorale.
P. Chidambaram, ex ministro dell’Interno e membro del Congresso Nazionale Indiano, ha dichiarato che non c’era giustificazione per le accuse allora e non ce neppure ora, criticando l’uso della legge sulla sedizione per silenziare il dissenso. Anche altri scrittori e attivisti hanno espresso il loro sostegno a Roy, lodandola per il suo coraggio nel difendere la giustizia e la verità e condannando l’utilizzo retroattivo di una legge per colpire una donna ed un’icona indiana.
L'articolo Arundhati Roy vince il Pen Pinter Prize 2024. Non sarà contento il primo ministro indiano. proviene da Globalist.it.