Regia: Richard Linklater Cast: Glen Powell, Adria Arjona, Austin Amelio, Retta, Sanjay Rao
Durata: 113’
È veramente un peccato che uno dei film più geniali, esilaranti e leggeri (ma quella leggerezza che si ottiene solo da un lavoro complesso) venga distribuito in Italia solo a fine giugno, quasi un anno dopo la sua anteprima (fuori concorso) alla Mostra del Cinema di Venezia del 2023, con le sale ormai praticamente chiuse per ferie.
L’auspicio è che le arene estive possano valorizzare come merita “Hit Man – Killer per caso”, il nuovo film di Richard Linklater. Che ha la grande capacità di passare da opere che quasi non si distinguono dalla vita vera (con quel capolavoro che è “Boyhood”) al rotoscope di “Apollo 10 e mezzo”, fino a spacciare per thriller poliziesco una storia d’amore scoppiettante, sensuale e politicamente scorretta.
L’ispirazione di “Hit Man” nasce da un articolo di giornale di una ventina di anni fa su un uomo qualunque assoldato dalla polizia per interpretare un sicario e, così, sventare omicidi su commissione, arrestando i mandanti.
Linklater parte da questa suggestione per romanzare la storia di Gary Johnson, un comune professore di psicologia (Glen Powell che firma la sceneggiatura insieme al regista) che conduce con i suoi gatti una vita banale e tranquilla, tranne che per un dettaglio: aiuta le forze dell’ordine, ma solo sotto l’aspetto informatico, a incastrare questi potenziali criminali.
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Quando, però, uno dei sicari “sotto copertura” viene allontanato dalla polizia, Gary prende il suo posto e dimostra un talento camaleontico fuori dal comune.
Diventa Ron, killer su commissione, capace di travestirsi e comportarsi in modo da tale da entrare subito in strettissima sintonia antropologica con i clienti da incastrare. Fino a quando non entra in scena la bellissima e bollente Madison (Adria Arjona) che vorrebbe far fuori il marito violento. Se ne innamora, la dissuade dal proposito ma una carambola di eventi fa precipitare la situazione.
“Hit Man” è, prima di tutto, un film con una sceneggiatura da applausi: ogni dialogo, situazione (esilarante il doppio gioco al cellulare), personaggio sono scritti alla perfezione con tempi comici che spaccano il minuto e imprimono al film un ritmo forsennato e divertente.
Scavando più a fondo, è appagante trovare un autore così bravo a parlare di identità mutevoli (nella trama del film come nel genere stesso che cambia continuamente pelle) e, in generale, di una società, quella americana, incline a risolvere i propri problemi con un colpo di spugna violento e, tutto sommato, a buon mercato. Gli interpreti, meravigliosi, fanno il resto.
“Hit Man” è già la commedia dell’anno: speriamo che in tanti possano scoprirla e abbandonarsi al cinema sempre intelligente e intrigante di Richard Linklater. (Marco Contino)
Voto: 8
***
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Regia: Michael Winterbottom
Cast: Irina Starsenbaum, Douglas Booth, Harry Melling
Durata: 119’
Regista impegnato e militante, Michael Winterbottom ha spesso rivolto il suo sguardo critico sulla storia contemporanea, andando all’origine di tanti mali e conflitti della società attuale, che si intersecano con vicende intime, spesso dolorose, dei suoi protagonisti, da “Benvenuti a Sarajevo” a “Cose di questo mondo”, Orso d’oro a Berlino 2003, a “Road to Guantanamo”, Orso d’argento nel 2006.
Con “Shoshana”, il regista sposta lo sguardo alle origini dello stato di Israele, quando tra 1919 e 1939, il sionismo invita migliaia e migliaia di persone a raggiungere la Terra Promessa, innescando azioni terroristiche con la polizia britannica – il Regno Unito aveva ricevuto il mandato sul Medio Oriente dal trattato di Versailles, alla fine della Grande Guerra, nel 1919 – e soprattutto con il mondo arabo.
Winterbottom segue qui la difficile road map verso l’indipendenza, tra gruppi di resistenza armata e fautori del dialogo, tra le diverse parti. E prende a modello narrativo reale la vicenda sentimentale di Shoshana (Irina Starsenbaum), la figlia del cofondatore del movimento operaio sionista Ber Borochov, con il vice-sovrintendente della polizia palestinese Thomas Wilkin (Douglas Booth).
Una vicenda reale, una storia (la vera Shoshana è morta nel 2004, a 94 anni) che Winterbottom immagina narrata dalla protagonista come voce fuori campo, lasciando in sospeso i fatti al momento della nascita dello stato di Tel Aviv e alle guerre arabo-israeliane, pezzi di vita intima e politica tenuti assieme dal ricorrente refrain di “The man I love” di Gershwin.
Ciò che traspare dal film di Winterbottom è l’assoluto rimpianto di una generazione liberale e socialista, all’interno di quella parte del mondo sionista che era "convinto che arabi e israeliani potessero convivere in Palestina".
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Mescolando filmati di repertorio di matrice dominante (cinegiornali britannici) e ricostruzioni in location girate in Puglia (in Israele non è il caso di girare un film così oltre al fatto che Tel Aviv e Jaffa sono molto cambiate da allora), “Shosana” mostra il lato violento delle cose, sia da parte dei britannici, incapaci di gestire le contraddizioni e i conflitti di quella fase, al punto da andarsene lasciando tutto irrisolto, sia da parte ebraica, con gli attentati dei gruppi paramilitari come Irgun, guidati dal suo leader, il poeta Avraham Stern, sia ovviamente da parte arabo-palestinese.
In questo contesto, i continui rimandi dalla narrazione storica a quella individuale non fanno che confermare l’impossibilità di una vita normale, di una pace condivisa e di relazioni umane trasversali, la cui assenza si soffre e si vede ancor oggi. (Michele Gottardi)
Voto: 7
Con le recensioni di questa settimana la nostra rubrica va in ferie per tornare il prossimo autunno.
Buona estate.