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Reati clandestini



Nei Paesi dell’Europa a forte immigrazione, Italia compresa, le statistiche più recenti evidenziano una sempre maggiore correlazione tra i delitti commessi e la condizione di irregolarità. E così anche certe «patrie del multiculturalismo» come Francia e Regno Unito corrono ai ripari.

Storie casualmente tratte da cronache italiane recenti e recentissime. A Cirò Marina (Kr), dopo un folle inseguimento, arrestano clandestino per droga e guida pericolosa. A Terni, immigrato kosovaro arrestato per due rapine. Vicino a Torino nordafricano irrompe in un negozio armato di machete, minacciando gli avventori (era stato arrestato per gli stessi reati ma rilasciato). Era un’accetta invece l’arma scelta da un nigeriano alla stazione Centrale di Milano, che poi aggredisce i poliziotti a morsi. Naturalmente va citato il caso di Hasan Hamis, marocchino con tre ordini di espulsione dall’Italia che circa un mese ha accoltellato il vice-ispettore di Polizia Christian Di Martino alla stazione Lambrate di Milano. A Padova 23enne tunisino espulso per spaccio di droga rientra clandestinamente e si sposa con italiana di 17 anni più grande per ottenere il permesso di soggiorno (arrestato). A Cesena, clandestino sorpreso a spacciare tre dosi di eroina. A Domodossola fermano un immigrato mentre stupra una donna...

Sarebbe un lunghissimo elenco quello dei fattacci di cronaca delle ultime settimane, ormai sotto gli occhi anche di chi non li vuol vedere. E che - mentre gli sbarchi proseguono in estate - costringono a chiederci: più immigrazione significa più criminalità?

Una risposta viene dai numeri. A compiere più reati in rapporto alla popolazione residente sono in effetti gli stranieri - non quelli regolarmente residenti, che delinquono di fatto quanto gli italiani - bensì i cosiddetti «migranti irregolari», ovvero quelli privi di permesso di soggiorno. E questo non vale solo per il nostro Paese, dove a certificare tali statistiche sono ministero dell’Interno e Istat, ma si tratta di un fattore comune all’intera Europa.

Soffermandoci per il momento sull’Italia, la realtà dei dati dice che gli stranieri irregolari denunciati sono circa 33 volte in più dei connazionali accusati di un reato, mentre tale quota per gli immigrati regolari è maggiore soltanto di 1,5 volte. Così come, secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i detenuti stranieri, seppur in lieve calo rispetto agli ultimi tre anni, sono 17.676 e pesano per il 31,3 per cento della popolazione carceraria tra i condannati per reati penali.

A cogliere un primo potenziale segnale di questa deriva, già 12 anni fa era stato proprio l’Istituto nazionale di statistica, quando ancora le cifre non erano così allarmanti ma già suggerivano l’inizio di una tendenza, puntualmente proseguita nella successiva decade, sostanziando una crescita forte nelle indagini relative alla criminalità continentale. Scriveva Istat nel 2011: «Il peso della componente straniera, ovvero delle persone di 18 anni e più nate all’estero, tra gli autori dei reati è andato aumentando a partire dagli anni Novanta, mentre prima di allora il fenomeno era trascurabile. Se nel 1990 gli stranieri erano pari al 2,5 per cento degli imputati, nel 2009 gli stranieri rappresentano il 24 per cento del totale degli imputati».

Prima che nel nostro Paese, questo fenomeno era appannaggio del Nord Europa. Dove la domanda se davvero l’eccessiva presenza di immigrati sia causa diretta dell’aumento dei reati è stata oggetto di studi complessi, che hanno sempre portato alla medesima conclusione. Al punto che proprio le due «madrepatrie del multiculturalismo», ovvero Francia e Regno Unito, sono oggi decise ad arrestare il flusso degli arrivi. Prova ne siano la recente draconiana legge sull’immigrazione in Francia; ma anche la travagliata (e ormai praticamente archiviata) decisione britannica sul progetto del premier Rishi Sunak di mandare in Ruanda chi sbarca clandestinamente sulle coste inglesi, senza possibilità di ritorno.

È ormai letteratura la differenziazione tra migranti economici e politici, tra chi cioè arriva per cercare lavoro e chi per cercare rifugio da guerre e ingiustizie. Così come vi è una netta disparità tra Paesi Ue che non sono tradizionale meta di immigrazione bensì di emigrazione (come l’Est europeo) e quelli dell’Europa centrale (Belgio, Francia, Germania e Austria), dove invece si riscontrano le più alte percentuali relative alla criminalità straniera. Tuttavia, è ovvio che le cifre relative a chi commette reati non distinguono tra l’uno e l’altro tipo di migrante; più semplicemente, riflettono la correlazione diretta tra immigrazione e crimini nel continente.

Se dunque la statistica coglie un’Europa intera impreparata a fronteggiare ondate migratorie di massa, e non riesce ad arginare il crescente senso di allarme collettivo, è un fatto che questo bisogno di sicurezza da parte dei cittadini del continente non può essere ignorato.

Si prenda il caso della Germania. Secondo il governo federale, l’anno scorso 47.923 tedeschi sono stati vittime di «immigrati violenti». Più 18 per cento rispetto all’anno precedente e pertanto definito «spaventoso» da Heiko Teggatz, presidente dell’Unione federale DPolG, il principale sindacato di polizia. Cifre che alimentano le annose polemiche sull’opportunità o meno di proseguire le politiche merkeliane di accoglienza (e che finiscono per dare forza ai partiti di estrema destra, come si è visto alle ultime elezioni europee).

Vero è che, nonostante gli stranieri in territorio tedesco rappresentino una percentuale molto più piccola della popolazione complessiva, circa il 13 per cento commette quantità appunto «spaventose» di crimini contro i tedeschi. Quasi la metà dei colpevoli ha tra i 18 e i 30 anni, la maggior parte maschi, e tra loro i più disposti a commettere reati sono proprio coloro le cui domande di asilo sono state rifiutate, insieme con gli immigrati provenienti da Paesi nordafricani quali Algeria, Marocco e Tunisia. Sebbene questo gruppo costituisca solo lo 0,8 per cento dei migranti, rappresenta l’8,5 per cento di tutti i richiedenti asilo accusati di aver commesso un crimine violento.

Volendo fare un confronto con l’Italia, i dati relativi all’azione di contrasto effettuata sul territorio nazionale dalle forze di polizia nel 2022 indica 271.026 segnalazioni nei confronti di stranieri ritenuti responsabili di attività illecite, pari al 34,1 per cento del totale delle persone denunciate ed arrestate; il dato risulta in lieve aumento, sia in valori assoluti sia in termini di incidenza, rispetto a quello del 2021, quando le segnalazioni erano state 264.864, pari al 31,9 per cento del totale. Come riporta il centro ricerche Idos, citando dati del ministero dell’Interno, tale percentuale sale, addirittura al 67,5 per cento dei casi (i dati in tal caso sono relativi 2017), quando gli stranieri sono al tempo stesso presenti irregolarmente sul territorio italiano.

Non va in maniera diversa in Belgio, dove nel 2022 si sono registrati circa 34.100 casi di violazione della legge sull’immigrazione e dove il numero di omicidi e omicidi colposi è aumentato considerevolmente negli ultimi dieci anni, raggiungendo il picco nel 2022 (da mille a 1.400), la cui causa sarebbe riconducibile all’aumento della presenza straniera: il servizio belga per il controllo dell’immigrazione l’anno scorso ha rimpatriato 1.299 stranieri con precedenti penali, una media di 150 in più all’anno, e ha segnalato altre 150 mila persone prive di documenti.

Neanche la sempre accogliente Svezia può ignorare i nuovi dati e il crescente senso d’insicurezza percepito dalla popolazione: uno studio sul crimine del 2020 mostra un legame con l’immigrazione la cui conclusione è che dal 2002 al 2017 il 58 per cento dei sospettati di reato nel Paese erano immigrati, i quali hanno contribuito significativamente all’aumento del tasso di omicidi, tentati omicidi e omicidi colposi, dove gli immigrati sono stati responsabili nel 73 per cento dei casi, addirittura più che per le rapine, dove gli stranieri sono responsabili nel 70 per cento dei casi.

Quanto alla Francia, quest’anno il Dipartimento ministeriale di statistica per la sicurezza interna ha riferito che il 69 per cento delle rapine e di altri crimini violenti, tra cui quelli sessuali, avvenuti nella regione parigina dell’Île-de-France sono stati commessi da cittadini stranieri. Su scala nazionale, invece, gli immigrati sono responsabili per il 55 per cento di tali reati. Da un ulteriore esame dei dati emerge come i migranti africani «sans papiers» si confermano responsabili in media del 42 per cento dei reati, percentuale significativamente più elevata rispetto alla loro rappresentanza nella popolazione. Questi fenomeni non fanno che alimentare il consenso politico di cui già godono le destre. Parigi ha poi un altro, preoccupante problema. Se l’89 per cento degli attacchi terroristici in Europa sono stati compiuti da immigrati di seconda e terza generazione, sia regolari sia irregolari, e se esiste quindi una correlazione statistica tra immigrazione e terrorismo, essa diventa quasi certezza in Francia, dove - dati Europol - cresce il numero degli irregolari coinvolti in attentati.

Di fronte a tutto ciò, e proprio su pressione francese, lo scorso 20 dicembre l’Ue ha raggiunto un «accordo storico» sui cinque regolamenti del Patto migrazioni e asilo, che riforma la politica migratoria dell’Unione. Basterà per rendere l’Unione più sicura? Ci si augura che una risposta arrivi dai nuovi assetti politici usciti dalle ultime elezioni europee.

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