Politicamente oggi la scena è stata tutta per Giorgia Meloni, ed il suo atteso discorso alle camere in vista del Consiglio Europeo di domani e venerdì cui spetterà il compito di nominare i vertici, le guide dell’Europa uscita dal voto del 9 giugno scorso. Il succo di un’ora di discorso è il seguente: Bruxelles non sembra aver percepito l’esito del voto, anzi, sta facendo l’esatto contrario con giochi di palazzo mai visti prima all’europarlamento. Ed è difficile non darle ragione, nemmeno per il più antagonista degli antagonisti.
le elezioni infatti hanno visto prevalere i partiti di destra e crollare i partiti di governo, soprattutto nei due paesi guida: Francia e Germania. Scholz è il cancelliere più debole mai passato da Berlino, lo testimonia il complessivo 31% dei voti conquistati dalla sua maggioranza; a Macron è andata anche peggio al punto che il leader dell’Eliseo ha scelto di sciogliere l’Assemblea Nazionale per cui i francesi andranno al voto domenica 30 giugno e quella successiva.
Malgrado però siano due pugili suonati e finiti al tappeto a Bruxelles i due hanno comunque deciso di non mollare la barra di comando, per prima cosa confermando la maggioranza parlamentare precedente, quella composta da Ppe, Socialdemocratici e Liberali, poi scegliendo in totale autonomia le nomine del Presidente della Commissione, dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e del Presidente del Consiglio Europeo. Da qui nasce il trio Ursula Von del Leyen (pronta al bis), Kaja Kallas ed Antonio Costa. Il tutto con uno strappo alle regole (non scritte) esistenti in Europa dove almeno una di queste poltrone veniva assegnata a partiti che non fanno parte della maggioranza alla guida del Parlamento europeo. Ed è questa l’anomalia, nuova, contro cui si è scagliata la premier oggi: “La logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti - ha tuonato Giorgia Meloni - non sono disposta a fare inciuci con la sinistra in Italia, figuriamoci in Europa». E a sottolineare come, ancora una volta, a Bruxelles stiamo provando i soliti noti a metterci da parte, è arrivata anche la stoccata del presidente della Repubblica: «L’Europa non può prescindere dall’Italia» ha detto Mattarella in mattinata…
Cosa succederà ora è difficile da stabilire. L’Italia potrebbe addirittura astenersi dal voto sulle nomine (decise da 6 persone, 6, i vertici dei tre partiti di maggioranza nessuno dei quali è italiano… tra l’altro…) lanciando un segnale chiaro e sicuramente partirà una trattativa con la Von del Leyen per ottenere forse una vicepresidenza o la presidenza di una commissione prestigiosa (si fa il nome del ministro Fitto in tal senso). Ma il bello, anzi il difficile, verrà dopo, nel lavoro quotidiano dove le difficoltà e la debolezza numerica della maggioranza di centrosinistra rischia di crollare davanti a decisioni su tematiche centrali: Ucraina, green, migranti, economia. E qui i giochi di palazzo rischiano di arrivare davanti ad un binario morto con la sinistra costretta al dialogo con l’Italia e con le forze conservatrici e di destra che hanno prevalso nel voto.
Di sicuro quello che in questi giorni i leader della sinistra europea stanno offrendo è un classico della sinistra: più sono deboli più si arroccano attorno ai posti di comando. Il fallimento di tutto questo è solo questione di tempo.