Nelle varie attività culturali è sicuramente corretto privilegiare i giovani artisti che possiedono idee innovative, progetti carichi di energia, grande dinamicità nei diversi contesti espositivi.
Tutto questo non deve comunque penalizzare quei professionisti maturi che hanno costruito negli anni importanti percorsi attraverso un bagaglio culturale e artistico generato dall’esperienza e dallo studio.
Uno di questi artisti a “tutto sesto” è Paolo Bazzocchi, nato a Trieste ma da sempre residente a Udine, classe 1961, laureato in architettura, artista riservato e incapace di proporsi prepotentemente nei vari ambiti culturali non solo regionali.
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Lo abbiamo visto dagli anni Ottanta esporre le sue sperimentazioni artistiche a Venezia nella Fondazione Bevilacqua La Masa e in seguito in molte altre sedi a Milano, Bologna, Torino ma anche Praga, Pola, Malta. Ha partecipato alla 54° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia ed è stato più volte presente a Udine nella Galleria Plurima.
In tutto questo lungo periodo, Bazzocchi non ha mai abbandonato la fotografia, una sua antica passione che in seguito si è evoluta come autentica professione.
Un suo nuovo progetto “Distopie” viene ospitato fino al 5 luglio alla Melarias Contemporanea, uno spazio culturale ideato da Enrico Franzolini, con sede in via Girardini a Udine.
Il progetto potrebbe essere sintetizzato con le parole di Johann Wolfgang von Goethe (Aforismi sulla natura) «Colui al quale la natura comincia a rivelare il suo palese segreto, sente un desiderio irresistibile della sua più degna interprete, l’arte».
Sono pensieri legati all’attualità contemporanea e tutti accomunati da una visione distopica, quindi immaginaria ma tendenzialmente negativa, che evidenzia una natura fortemente penalizzata e contaminata dall’uomo.
La mostra è divisa in cinque sezioni, dove vengono proposte ai visitatori alcune riflessioni dell’autore nella speranza di provocare una reazione emotiva che produca una reale volontà di cambiamento, vero “mood” del progetto.
Le trentadue foto analogiche in bianco e nero, che sono state stampate dall’autore, vogliono indicare l’intensità delle scene che coinvolgono la natura, le guerre, le contraddizioni della vita contemporanea, con particolare attenzione al cambiamento climatico e all’inquinamento attraverso la presenza di un pupazzo/attore che «in un mondo sovvertito e rimpicciolito, vive avventure fantasiose – come scrive Alberto Garlini – contempla una natura amazzonica, si trova aggredito da ragni giganti, legato a tronchi o sommerso da un mare di cianfrusaglie. C’è gioco e tragedia».
Davanti a questo storytelling, l’attenzione del visitatore trova continue sollecitazioni nella lettura giocando attraverso la composizione di elementi fondamentali come un uso attento della luce e una scenografia estremamente scrupolosa.
Ogni fotografia testimonia lo sforzo dell’artista di liberare una natura antropizzata in uno spazio movimentato da sovrapposizioni che richiamano un gioco ossessivo che non trova conclusione.
La mostra, è visitabile su prenotazione (per informazioni chiamare il numero 339.2967519) fino al 5 luglio, è supportata da un catalogo curato da Alberto Garlini e Alberto Vidissoni.