TRIESTE Nessuna indagine e niente autopsia. La Procura di Trieste intende archiviare il caso sulla morte del ventiquattrenne marocchino Ayoub Lakhlalk, annegato nello specchio d’acqua antistante i moli III e IV del Porto Vecchio. Il pm Andrea La Ganga, che aveva aperto un fascicolo subito dopo la scomparsa del giovane, evidentemente ritiene che non ci siano ipotesi di reato attribuibili a terzi.
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In effetti le immagini registrate dalle telecamere installate su uno dei magazzini abbandonati sono piuttosto chiare: è notte, ma si vede che il ventiquattrenne si tuffa autonomamente. La figura, poi, scompare tra le onde. Non è stato spinto, dunque. Ciò che lascia perplessi è però il comportamento degli amici, tutti connazionali: fuggono anziché tentare di salvarlo. Perché? Resterà un mistero.
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Erano ubriachi, come ha riferito la ventenne triestina che quella notte si trovava assieme al gruppo di marocchini e che – l’unica a farlo – è corsa verso la stazione ferroviaria per chiedere aiuto. Il corpo di Ayoub Lakhlalk è riaffiorato nei pressi della vicina diga foranea dopo quasi una settimana di ricerche condotte dalle vedette della Capitaneria di porto e dai sommozzatori dei Vigili del fuoco.
Ma il dramma della annegamento del ventiquattrenne, al di là dell’aspetto giudiziario, svela una serie di altri elementi sul microcosmo di stranieri che occupano i magazzini abbandonati del Porto Vecchio: migranti accampati negli hangar con tende, giacigli e accanto ad altre stanze usate come discariche e latrine. L’odore di spazzatura, urina ed escrementi è ammorbante.
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Ayoub, a Trieste da circa un anno e mezzo, aveva trovato rifugio proprio nel magazzino “2a”, quello dove dimorano i marocchini (l’altro, vicino, è occupato dagli afghani). La palazzina è situata di fronte al molo da cui il giovane si era buttato dopo aver trascorso una nottata di festa e alcol con i connazionali. Gli spazi del Porto Vecchio sono utilizzati infatti anche come luoghi di ritrovo del cosiddetti “maranza”, gruppi di tunisini, egiziani e appunto marocchini che di giorno vediamo abitualmente in centro città, soprattutto in piazza Goldoni e piazza Garibaldi. Ed è a questi gruppetti che sono attribuiti alcuni episodi che hanno segnano i recenti fatti di cronaca più violenti: rapine, risse, pestaggi, spaccio.
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Ai ritrovi in Porto Vecchio prendono parte pure giovani triestini, stranieri di seconda generazione o comunque da molti anni residenti qui. E anche ragazzine, spesso poco più che adolescenti, in qualche modo attratte da questa subcultura dei “maranza”, che si contraddistingue per il look tamarro, esibito anche via social, l’atteggiamento da bulli e per le logiche da strada, non di rado violente, dove è normale girare con il coltello in tasca.
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Attorno ad Ayoub e ai suoi amici marocchini si sono avvicinate alcune giovani triestine, come appunto la ventenne che ha dato l’allarme quando il ventiquattrenne stava per annegare.
Sono ragazze dal trascorso spesso sofferto, con problemi di tossicodipendenza e di alcolismo. Hanno lasciato le famiglie di origine e abbandonato gli studi, quindi sono facilmente influenzabili e più esposte alla marginalità. Vivono a stretto contatto con questi gruppetti (di recente si è verificato anche un caso di gravidanza) entrando in giri di spaccio e sfuggendo al controllo dei genitori e al monitoraggio di assistenti sociali e psicologici.