foto da Quotidiani locali
È una fuga senza meta precisa quella che Filippo Turetta inizia subito dopo la duplice aggressione ai danni di Giulia Cecchettin, colpita prima in un parcheggio di Vigonovo a poca distanza dalla casa della ragazza e poi nella zona industriale di Fossò. Una fuga che dura giorni, attraverso il Friuli Venezia Giulia, e poi ancora verso Longarone, Cortina, Dobbiaco, l’Austria e infine la Germania.
Dove Turetta viene arrestato otto giorni dopo l’uccisione della ragazza, lungo l’autostrada alle porte di Lipsia. Ed è proprio nelle ultime 24 ore di libertà del ragazzo, indagato per omicidio premeditato e stalking dalla Procura di Venezia, che emergono ulteriori dettagli utili a inquadrare la drammaticità della vicenda.
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DAVANTI AL PM
A fornirli è lo stesso Turetta, affiancato dagli avvocati difensori Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, nel corso dell’interrogatorio fiume dello scorso primo dicembre davanti al pubblico ministero Andrea Petroni. «Quel giovedì ho ripreso l’autostrada per andare a Monaco e ho guidato fino a una stazione di servizio dell’autostrada e lì sono rimasto tutto venerdì. Poi mi sono spostato di qualche altra decina di chilometri più avanti, su un’altra stazione di servizio, e lì sono rimasto fino a sera, quando poi mi sono fatto arrestare».
Fino all’ultimo, il pensiero del suicidio è rimasto nella mente del 22enne: «Non c’ero mai riuscito, non avevo mai avuto il coraggio, avevo anche provato a guidare per magari riuscire a fare un incidente ma alla fine tanto questa idea non andava avanti. Volevo magari trovare una spinta per farlo in qualche modo e ho anche riacceso il telefono quel giorno».
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Davanti al pubblico ministero e ai suoi avvocati difensori, Turetta racconta quindi di essersi collegato alla rete wifi della stazione di servizio alla ricerca di notizie su quanto successo che lo spingessero a farla finita. E invece tra le notizia la scoperta dell’augurio dei genitori di trovarlo ancora vivo: «Mi sono rassegnato a farmi arrestare. Mi sono spostato con la macchina a lato dell’autostrada dove ci sono i telefoni di Sos per chiamare la polizia. Ma poi è arrivata una macchina della polizia e gli ho detto di arrestarmi».
LA CONFESSIONE
Turetta nella sua confessione aggiunge di aver scritto una "specie di lettera", custodita all’interno della sua Fiat Punto, in vista di un possibile suicidio nel quale ammetteva di avere ucciso Giulia Cecchettin, con tanto di indicazioni su dove trovare il corpo.
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«Quando sono stato fermato dalla polizia tedesca», le parole pronunciate durante l’interrogatorio, «in auto c'erano delle coperte, una borsa con una scatola con qualcosa da mangiare, dei dolcetti, una bottiglia di sambuca, i regali per Giulia, due zaini. Poi c'erano dei fogli di carta ovvero una specie di lettera, che avevo scritto mentre ero a Berlino prima di quello che pensavo fosse un tentativo di riuscire a suicidarmi. Dicevo che ero colpevole, dove si trovava il corpo, un messaggio per i miei genitori».
LA PREMEDITAZIONE
Per la Procura della Repubblica di Venezia, titolare dell’inchiesta, gli elementi raccolti delineano il contesto di un delitto pianificato, con tanto di lista di cose da fare (pieno di benzina, nastro adesivo, spugna bagnata in bocca) modificata fino a qualche ora prima del fatidico incontro con Giulia. A metà luglio via al processo: è in programma l’udienza preliminare.
