Il gip di Milano Sara Cipolla ha trasmesso gli atti alla Consulta affinché valuti la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio di cui risponde Marco Cappato per aver accompagnato due persone a morire in una clinica svizzera e per i quali si era autodenunciato nel capoluogo lombardo.
I casi riguardano Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, relegato in un letto da una forma grave di Parkinson, ed Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro.
Per gli episodi la Procura aveva chiesto in via principale l'archiviazione.
Cappato era stato indagato, tra agosto e novembre 2022, per aiuto al suicidio, dopo essersi autodenunciato, per aver accompagnato per l'ultimo viaggio alla clinica 'Dignitas' di Zurigo prima la Elena, poi Romano.
Ma nel settembre 2023, con una "interpretazione" più estensiva della nota sentenza della Consulta del 2019 sul caso dj Fabo, il pm Luca Gaglio e l'aggiunto Tiziana Siciliano avevano chiesto l'archiviazione per Cappato.
Avevano, infatti, allargato ancora di più il perimetro della possibilità del suicidio assistito: il malato terminale può scegliere di essere aiutato a morire anche se non è attaccato a macchine che lo tengono in vita, se questo tipo di trattamento rappresenta solo "accanimento terapeutico".
E chi gli dà supporto, secondo i pm, non è punibile.
Ma per il giudice Cipolla, che ha rigettato la loro istanza, è “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 580 cp nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l'altrui suicidio - si legge nel provvedimento - nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita”.
In sostanza, sulla falsariga del gip di Firenze, anche quello di Milano, ha chiesto alla Corte Costituzionale di chiarire meglio una delle condizioni poste nella sentenza per Dj Fabo, ossia di definire i confini esatti del requisito dell'essere tenuto in vita artificialmente con trattamenti di sostegno vitale. Condizione, questa, che mancava nei casi di Romano ed Elena su cui hanno indagato i pm milanesi con acquisizioni di filmati, documenti, testimonianze e consulenze mediche. E che si sono convinti, dopo averne discusso con il procuratore Marcello Viola in linea con la loro interpretazione, a ritenere “non punibili” come aiuto al suicidio anche quei casi in cui manca come presupposto il fatto che il malato sia attaccato alle macchine per sopravvivere.
Ad agosto 2022 Cappato aveva accompagnato Elena Altamira – 69 anni, di Spinea, malata di tumore ai polmoni, a uno stato terminale - in Svizzera, a Schwerzenbach, dove aveva scelto di morire con la pratica del suicidio assistito.
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In Italia non le sarebbe stato possibile, non essendo tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, uno dei requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale per accedere al suicidio assistito.
«Sono davanti a un bivio. posso prendere una strada un po' più lunga che mi porta all'inferno. E un'altra, più breve, che mi porta in Svizzera. Ho scelto la seconda» erano state le ultime parole di Elena ai suoi familiari, dalla sede della associazione “Dignitas” di Schwerzenbach, che mette a disposizione locali e strumentazione. Poi un messaggio a tutti, lei, persona descritta come molto riservata, ma che ha deciso di parlare per mettere tutti in condizione di poter decidere.
Marco Cappato in caserma si è poi autodenunciato per l'aiuto al suicidio di Elena di Spinea, malata di cancro: rischia 12 anni-«Sono sempre stata convinta che ogni persona debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine, senza costrizioni, senza imposizioni, liberamente, e credo di averlo fatto, dopo averci pensato parecchio, mettendo anche in atto convinzioni che avevo anche prima della malattia – aveva detto nel video di commiato – Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola».
Il giorno dopo il videomessaggio si è iniettata il mix di farmaci previsto dalla legislazione elevetica e ha perso conoscenza, scivolando quindi verso la morte.
Molti veneziani si sono portati in Svizzera per morire.
Tra loro Loris Bertocco che, malato e cieco, nel 2017 affrontò l’ultimo viaggio a Schwerzenbach. Prima di lui, nel 2012, Vittorio Bisso, di Dolo, malato terminale aveva deciso per lo stesso fine vita.