GRADISCA Può un cane “conteso” e a rischio maltrattamenti essere restituito al presunto carnefice? L’interrogativo nasce da una segnalazione documentata pervenuta ad Asugi e alle realtà animaliste locali. questa è la storia di Dino – nome di fantasia per non rendere riconoscibili i protagonisti –, un cane che d’improvviso è diventato suo malgrado un “caso”.
Dino è stato cresciuto da una coppia isontina che ha visto tramontare una sofferta relazione, con strascichi violenti approdati anche in tribunale. Dino resta con “lui”, che ne è l’unico intestatario.
“Lei” scopre che il cane viene tenuto in condizioni incompatibili con una salute già precaria, così si apposta fuori dalla casa dell’ex per comprendere la situazione e Dino, che la riconosce, le corre incontro. È tosato e insanguinato e viene portato in una clinica veterinaria.
Raggiunta dai carabinieri, la donna riconosce di essersi allontanata col cane ma, referti alla mano, prova di avergli salvato la vita. La Procura prima dispone di dare Dino in custodia a terzi, affidando il cane per qualche settimana a una struttura specializzata dell’Isontino; poi accoglie l’istanza di dissequestro di “lui”, restituendogli la custodia in quanto legittimo proprietario.
Il caso è intricato e ha suscitato l’interesse dell’Animal Pride Defending Association e delle Guardie Ecozoofile Ambientali-Sezione di Gorizia.
Patrizia Munarin, referente di Apda, si è presa a cuore la vicenda: «Dopo un sequestro cautelativo, ottenere la custodia o, meglio, l’adozione di un cane o di altri animali d’affezione, può essere molto complicato perché ad oggi non esistono norme specifiche». Viene così applicata la normativa generica prevista per la custodia di oggetti. «Né più, né meno».
Quando una persona è accusata di grave maltrattamento, si apre un processo penale che può durare anni. «Il provvedimento cautelare di custodia diventa confisca solo dopo i dovuti accertamenti e termini del processo, e questo può richiedere molto tempo. Ovviamente - argomenta Munarin - trattandosi di esseri senzienti e non di cose l’ideale sarebbe che all’animale fosse trovata tempestivamente una nuova stabilità all’interno di una famiglia affiancata da un istruttore che aiuti a riequilibrare lo stato psicofisico alterato. Ma l’assenza di misure specifiche prevede che tutto ciò non sia di semplice realizzazione».
Dopo il sequestro la creatura viene presa in carico dalla Procura titolare del caso. Il magistrato competente, a sua volta, deve nominare il custode. La custodia può ricadere sulle Aziende sanitarie o sui Comuni; nel migliore dei casi, sulle associazioni animaliste di tutela. Ma il problema non finisce qui perché può addirittura accadere che venga restituito, prima della chiusura delle indagini, allo stesso proprietario che lo ha maltrattato. È il caso di Dino.
«Non è raro che lo stesso proprietario maltrattatore presenti un’istanza di dissequestro, approfittando di poche prove a suo carico e di bravi avvocati – sottolinea Munarin –. Può succedere anche che sempre il reo richieda la custodia, e che nonostante le misure cautelari a suo carico, gli venga accordata con il rischio quasi certo di reiterazione del reato. È per questo che rivolgiamo un appello alla politica regionale, alle Aziende Sanitarie, ai Comuni. Siamo pronti a parlarne con la dottoressa Sabrina Loprete del Servizio Sanità pubblica veterinaria, la cui sensibilità e professionalità su questi temi è nota – fa sapere la responsabile di Animal Pride –. È necessario intervenire sulla normativa in vigore. In una regione come il Fvg, dove i sequestri sono estremamente frequenti, non solo a causa dei maltrattamenti di privati ma soprattutto a causa dei traffici dall’est – conclude Munarin – queste gravi lacune normative vanno assolutamente colmate. Gli animali non sono oggetti, sono esseri senzienti. Lo riconosce anche l’articolo 9 della Costituzione Italiana». —
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