Non sembri un paradosso, ma la comicità riesce a incidere sui grandi temi dell’umanità creando proseliti, perché solo con una risata le cose serie ti restano dentro. Opinioni, per carità.
Prendiamo un Giobbe Covatta qualunque, amatissimo dal pubblico live e della tv. Ecco, lui — come saprete — si occupa volentieri dei guai della Terra e lo show che arriverà domani, domenica, alle 18.30, nel parco delle Risorgive di Codroipo (per la rassegna “Palchi nei parchi”) ha un titolo evocativo e simbolico: “6°” (sei gradi)”, scritto con Paola Catella, il cui significato scientifico è ben preciso. Gli farà compagnia in scena il chitarrista Ugo Gangheri.
Dunque, Giobbe, a lei la spiegazione di ciò che ci offrirà nella sua tappa friulana.
«In sintesi: con 6° gradi in più rispetto a quelli in media oggi avverrà l’estinzione dell’uomo. Senza condizionale. Lo spettacolo è proiettato al 2124, ovverosia fra cent’anni. Quindi io sarò il nipote di me stesso così come tutto il pubblico percepirà la medesima sensazione. E dal pulpito molto avanti nel tempo ripercorrerò i trambusti accaduti nel secolo appena finito. “Fra un nonnulla non ci saremo più”. E lo dico da personaggio del 2124, s’intende, eh. No panico».
Accidenti. E quindi?
«E quindi altri milioni di anni dopo la nostra dipartita compariranno esseri che ancora non siamo in grado di definire. Così come i nostri bambini giocano coi pupazzetti dei dinosauri, i babies del futuro/futuro si divertiranno con un peluche a forma di geometra del terzo millennio. Niente di bizzarro e non c’è da aver paura».
Il suo titolo non è nuovissimo, nel senso che “6° gradi” è stato generato un paio di lustri fa, se non sbaglio.
«Secondo lei perché lo cavalco ancora? Nulla è cambiato, credo. Nessuno sta facendo un tubo per il bene del pianeta. Esattamente. Tutti bravi a generare tavole rotonde ricche di proclami e poi i buoni propositi se ne vanno a farsi fott… però io insisto. Ci siamo capiti?».
Forte e chiaro.
«Se posso aggiungere, la mia è una struttura di performance piuttosto surreale, tant’è che mia moglie mi dice sempre: “Non è che magari la gente travisa? No, dico, visto che spingi molto su sensazioni irreali, potrebbe succedere che non ti credono quando parli seriamente”. Da quarant’anni mi espongo e nessuno mi ha mai dato dell’imbecille. (Pausa). Qualche volta è successo, sì. (Ride)».
La situazione mondiale fa pensare al peggio, in realtà.
«Pensi che su 193 Paesi del globo soltanto uno si è rimboccato le maniche. Uno soltanto. E quell’uno è il Costarica, che ha invertito la tendenza con una serie di politiche sostenibili. Del resto, solo chiacchiere e zero intese, per ora».
Ha delle soluzioni, Covatta?
«Il mestiere del comico è quello di porre domande, da qualche parte dovrebbero arrivare le risposte. Le ha sentite lei?»
Mah, pare proprio di no.
«C’è da aggiungere un fattore: avremmo dovuto salvare l’olocene, la seconda epoca del periodo Quaternario, quel breve periodo geologico durante il quale la temperatura è stata costante: 14.9. A tutt’oggi siamo un grado sopra la media perfetta. Altri quattro e sarà l’apocalisse».
Lei ha sempre avuto a cuore codeste tematiche, tant’è che è stato anche portavoce dei Verdi.
«Sempre. Per amore il mio teatro lo riempio usando argomenti universali che arrivano a chiunque, a tutti gli otto miliardi e mezzo di abitanti».
La politica è stata nel suo mirino se non sbaglio.
«Tento di entrare con vari modelli di grimaldelli, ma non si sfonda: sono muri di gomma. Per fare qualcosa di concreto bisogna essere intellettualmente onesti, fare sofismi non serve a nulla. Come diceva Einstein: “La scienza non è democratica”. La velocità della luce non la si stabilisce per alzata di mano. È la velocità della luce e basta, è matematica non filosofia. Noi, invece, facciamo filosofia e le cose si complicano».
Una vita a vela poi il cabaret. Che accadde?
«Semplicemente scesi dalla barca e, grazie alla teatralità di serie su di noi napoletani, cominciai il percorso».
È soddisfatto di Giobbe Covatta?
«Tantissimo. Lui si è divertito da pazzi e non ha mai lavorato un solo giorno della sua esistenza. Quando qualcuno se la gode (beato lui) non è mai lavoro».