MONFALCONE. Accusato di falsa testimonianza, è stato assolto perché il fatto non sussiste. Dopo 4 anni di istruttoria dibattimentale, Boris Vidali è uscito a testa alta dal processo. La sentenza è stata pronunciata dal giudice monocratico Concetta Bonasia. Vidali era stato colui che, all’epoca di capocantiere nello stabilimento navalmeccanico di Panzano, aveva sorpreso a dormire 4 operai della Salderia B, al di fuori dell’orario di pausa consentito. Era il turno notturno tra il 14 e il 15 settembre 2016. L’uomo con segnalazione interna aveva informato il datore di lavoro. I 4 cantierini erano stati licenziati per “giusta causa” da Fincantieri.
Tutto era partito dalla denuncia presentata da uno dei lavoratori interessati, che, attraverso il proprio avvocato di fiducia, aveva riscontrato contraddizioni rispetto a quanto dichiarato da Vidali. Nel procedimento si sono costituiti parti civili 3 dei 4 operai. A rappresentare la difesa è stato l’avvocato Sacha Caterisano, del Foro di Roma. È stato un dibattimento lungo e approfondito, culminato dunque con la sentenza assolutoria. Il giudice non ha ritenuto provata la responsabilità di Vidali. Nel corso del processo anche alcuni testi del pm hanno confermato la veridicità delle affermazioni del caposquadra.
L’avvocato Caterisano ha osservato: «Accogliamo con grande soddisfazione la decisione del Tribunale, giunta ad esito di un lungo dibattimento e frutto di una valutazione delle prove, corretta ed equilibrata, da parte del giudice. A quasi sette anni dalla denuncia sporta nei confronti di Vidali, questa sentenza ha finalmente riaffermato il comportamento integerrimo del mio assistito, sia in occasione della segnalazione ai propri superiori delle condotte gravemente inadempimenti di alcuni operai della sua squadra, nella notte tra il 14 e il 15 settembre 2016, presso lo Stabilimento Fincantieri di Monfalcone, sia nella successiva testimonianza resa dinanzi al giudice del lavoro di Gorizia, dimostratasi pienamente veritiera. Come correttamente rilevato dal Tribunale, la sua ricostruzione dei fatti, contrariamente a quella dei suoi accusatori, si è distinta per coerenza e logicità oltre ad essere confermata da importanti riscontri documentali».
La vicenda s’inquadra in un contesto più ampio, articolato e complesso. I quattro lavoratori, una volta licenziati, avevano voluto far valere le proprie ragioni, in particolare rispetto alla portata della decisione assunta dall’azienda. Erano seguite due fasi di primo grado previsto dal giudizio Fornero, con il giudice del lavoro di Gorizia, allora Barbara Gallo, e poi la Corte di Appello, a stabilire la reintegra sul posto di lavoro. Fincantieri aveva quindi impugnato la sentenza d’appello in Cassazione, la quale invece aveva rinviato gli atti davanti ad una nuova sezione Lavoro di Appello. La Suprema Corte aveva sostanzialmente ritenuto fondati i motivi sostenuti dall’azienda, che, nel ricorso, aveva evidenziato come i lavoratori non solo avevano abbandonato il posto di lavoro durante l’orario notturno, ma anche si erano recati in un altro luogo dello stabilimento.
Secondo la Cassazione, non andava disposta la reintegra, piuttosto andava applicata la tutela del risarcimento. In pratica, un licenziamento indennizzato. In altre parole, nei casi di abbandono del lavoro si fa riferimento al Contratto collettivo nazionale (Ccnl) che prevende la sanzione conservativa (un provvedimento disciplinare o una sospensione lavorativa). Ma i lavoratori si «erano sottratti alla sorveglianza non essendo immediatamente percepibile dal datore di lavoro il loro allontanamento». Insomma, il comportamento dei lavoratori «non era perfettamente sovrapponibile» al Ccnl, da qui l’indicazione del risarcimento del danno dovuto al licenziamento. E la nuova sezione Lavoro di Appello si era attenuta in tal senso.