La fermata è la stessa, che si parta per Bibione, Lignano, Caorle, Cortina, per l’aeroporto o per il litorale, l’autobus apre le porte sempre sullo stesso tratto di marciapiede. E infatti, tra la corsa delle 17.20 e quella delle 17.55, ogni pullman che arriva e si ferma innesca un viavai in direzione del ragazzo con la pettorina Atvo: «Lido di Jesolo?», chiedono due stranieri, la pronuncia dura di chi non arriva esattamente dal Veneto.
«Jesolo?», ripete la ragazza più intraprendente - o più impaziente - del gruppo di quattro che attende all’ombra della pensilina, sigarette accese a ciclo continuo; «Gesolo?», domanda ancora un’altra coppia, in una classica variazione sul tema.
L’addetto risponde a tutti, la pazienza di chi sa bene quanto quella raffica sia inevitabile: l’orario, oltretutto, mostra anche una partenza alle 17.35, segnata dalla F di “solo feriale”, poco decifrabile anche per gli italiani, sempre incerti su come vada considerato il sabato, totalmente incomprensibile per i “foresti”.
Non ci vuole molto perché arrivi la prima incomprensione: per due indiani parlare di “ore 18” ha poco senso, quando capiscono di aver perso il loro autobus e dover aspettare quasi un’ora alzano la voce: «Alla biglietteria ci hanno detto che partiva adesso, una bugia! L’abbiamo perso perché ci hanno tenuto a parlare troppo!».
In questo caso non serve la guardia giurata con la pistola per calmare gli animi: alle cinque e mezza del pomeriggio basta uno strappo alla regola e un posto sul bus espresso, normalmente solo su prenotazione ma nel tardo pomeriggio pronto a partire semi deserto.
«Magari fosse sempre così facile», sospira Marco, al volante sulla tratta balneare da dieci anni, «Se hanno chiamato la vigilanza privata è proprio perché tante volte il buon senso non è sufficiente».
La decisione di Atvo di piazzare una sorveglianza serale fissa al capolinea jesolano e alla fermata della stazione di Mestre è guardata con favore dai lavoratori dell’azienda, che però restano preoccupati per quello che può succedere durante il viaggio, un’ora e dieci di strada con pochissime soste e, spesso, un carico di passeggeri turbolenti: «Ubriachi, ragazzini esaltati, gente che viaggia senza biglietto e che quando viene ripresa attacca con la sceneggiata da vittima, chiedendo perché ce la prendiamo “proprio con loro e con gli altri no”. In tanti anni ne ho viste e sentite di tutti i colori».
Innegabile, comunque, che i momenti più critici siano quelli che precedono la partenza: «I controllori qui siamo sempre noi», continua Marco, «e facciamo la verifica prima di far salire le persone. Non è la stessa cosa fermare qualcuno a bordo per multarlo, qui gli impediamo di montare e questo in qualche modo scatena la voglia di forzare il blocco. Chissà, sarà perché per il verbale tanti credono di potersela cavare con un nome falso», ride l’autista. La battuta però ha il suo fondamento, soprattutto su una tratta che copre poco meno di 41 chilometri: chi resta a terra non può certo pensare di farseli a piedi.
In via Equilio, alle 19.20, non è più solo il conducente a controllare i biglietti: un verificatore Atvo con un palmare si piazza sulla prima porta del bus in partenza, davanti a lui una guardia, il distintivo in pelle e ottone che porta al collo recita “polizia”, quasi a smentire la polo azzurra che lo confonderebbe con il resto del personale (anche se, a essere precisi, quella del bigliettaio è bianca, tagliata dal nastro rosso di un badge molto più discreto dell’astuccio nero e oro); il primo scannerizza i qr code dei biglietti acquistati online, il secondo usa un’app sul suo cellulare per verificare tutti gli altri, ben più numerosi, comprati all’erogatore automatico.
È una divisione strategica: i ragazzi di ritorno dalle spiagge hanno tutti preso il tagliando all’ultimo minuto, a colpi di monetine, i pochi fogli A4 stampati a casa sono esibiti da viaggiatori di mezza età, più portati alla pianificazione. Non ci sono tensioni, la combinazione del simbolo dell’autorità e delle braccia larghe come tronchi del vigilante funziona splendidamente.
Il pullman viaggia verso Mestre carico di adolescenti chini sugli smartphone, barricati dietro agli auricolari e agli occhiali da sole, le ragazze bisbigliano sotto voce come in un’aula di scuola, i maschi alzano il tono quando si confermano a vicenda di aver attirato l’attenzione di quella o quell’altra turista, prima, sul bagnasciuga (e chissà, forse invece chi fa sospirare loro è seduto due file più indietro). «Oggi va tutto bene, sono tutti “cotti” dal sole», conferma l’autista del ritorno, Luca, che invece è su questa linea solo da un anno, «magari rischiamo più casino stanotte».
O forse è questione di giorni, più che di ore: alla fermata del Marco Polo, ormai a venti minuti dall’arrivo, il controllore che fa salire i viaggiatori dell’aeroporto dà la sua lettura: «Meglio aver fatto oggi, signora», risponde a chi si dice incerta di aver scelto il giorno giusto per una visita, «domani a Jesolo sarà l’apocalisse nucleare».