TRIESTE Sabato, al cimitero di Sant’Anna, l’ultimo saluto commosso dei parenti, degli amici e dei colleghi della Wärtsilä. Con un interrogativo, centrale in tutta questa vicenda: se i soccorsi fossero arrivati prima, il sessantatreenne triestino Franco Picinin si sarebbe potuto salvare la vita?
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Sarà l’autopsia, eseguita nei giorni scorsi, a fornire qualche risposta possibile. È il primo atto dell’indagine per omicidio colposo sulla drammatica fine dell’uomo, deceduto sotto gli occhi della compagna Anna Luisa Codnicht il pomeriggio dello scorso 29 aprile nel terreno di proprietà di via Santa Maria Maddalena. La coppia si era recata in campagna per sistemare le piante e tagliare i rami approfittando della bella giornata primaverile.
Sono circa le 14 quando Picinin, cardiopatico e diabetico, inizia a sentirsi male. Alle 14.15 la signora chiama il 112. L’automedica sarebbe arrivata sul posto ventitré minuti dopo. L’ambulanza ventiquattro. Il sessantatreenne, come si sarebbe poi capito, aveva un infarto.
Ma non c’erano mezzi di soccorso disponibili a raggiungere immediatamente la campagna di via Santa Maria Maddalena: in quel momento erano tutti impegnati in altri interventi. La Sores sostiene che la centrale ne stava gestendo, su Trieste, dodici con altri sei in coda.
Codnicht, all’indomani della tragedia, aveva raccontato nei particolari quegli attimi: «Dopo aver fatto colazione avevo misurato a Franco la pressione e i battiti. Stava benissimo e aveva preso le medicine, compresa quella per il diabete e pure la cardioaspirina. Ma poco prima di iniziare a pranzare Franco aveva iniziato a sentire tanto mal di collo e alle spalle.
Poco dopo era diventato bianco, sudava freddo. L’avevo disteso sulla sdraio, sollevandogli le gambe e quindi avevo chiamato il 112».
Il report della Sores conferma: sono le 14.15. «Franco stava sempre peggio, aveva girato gli occhi e la lingua fuori. Quindi avevo preteso un’ambulanza... mi era stato risposto di stare calma, che mi sarebbe stata mandata, e di richiamare in caso di peggioramento».
E così è: Picinin sta sempre più male. «Respirava a fatica, sbavava. Allora avevo richiamato e insistito per l’ambulanza», spiegava ancora la compagna. In quel momento sono le 14.32. «Mi era stato detto che non c’erano mezzi disponibili... io avevo protestato ... dicendo che mio marito stava morendo sotto i miei occhi. Mi era stato detto di applicare alcune manovre, ma io non riuscivo a girarlo. Franco pesava 125 chili».
La signora allerta la sorella e corre in strada a domandare aiuto. Un venticinquenne, che in quel momento sta portando l’auto nella vicina carrozzeria, sente le urla e si precipita nel terreno dove c’è Picinin tentando di fare il possibile. Gli tocca il collo e si accorge che non c’è battito. Fa il massaggio cardiaco, mentre la compagna la respirazione bocca a bocca.
L’automedica raggiunge il posto alle 14.38, l’ambulanza un minuto dopo. I sanitari provano in ogni modo a salvare Picinin. Ma invano.
«Se i soccorsi fossero arrivati prima Franco avrebbe avuto possibilità di salvarsi?», domanda Codnicht.
L’indagine per omicidio colposo, affidata al pm Maddalena Chergia, al momento è stata aperta a carico di ignoti con l’ipotesi dell’eventuale “colpa professionale sanitaria”. Gli inquirenti mirano innanzitutto a capire se la morte sarebbe sopravvenuta comunque. E, ovviamente, se c’è una correlazione con le tempistiche di intervento dei soccorsi.