Sarà Carlo Conti il nuovo direttore artistico e conduttore del Festival della Canzone Italiana di Sanremo. Per i prossimi due anni, ha annunciato la Rai, Conti sarà al timone del più importante evento multimediale nazionale organizzato dalla Rai e dal Comune di Sanremo. «È già partito il tam tam, mi sta squillando il telefonino. Mi fa molto piacere: i conti tornano» ha detto un emozionato Carlo Conti commentando la notizia in diretta al Tg1. «Torno a Sanremo dopo sette anni, cercherò di riprendere quel lavoro fatto e portato avanti alla grande dalle due edizioni di Baglioni e alla grandissima dalle cinque di Amadeus».
Era ufficioso, adesso è ufficiale: Carlo Conti sarà direttore artistico e conduttore della prossima edizione del festival di Sanremo, anzi delle prossime due, che è una buona notizia perché almeno nel ’25 ci risparmieremo tutte le anticipazioni e indiscrezioni e premonizioni su chi sarà il tenutario del Sanremone ’26. Dopo l’addio di Amadeus passato al Nove, era il nome più prevedibile, diciamo l’ovvio del popolo. Stupisce semmai la sobrietà con la quale è stata comunicata la fumata bianca. Che habemus papam lo si è saputo da un annuncio del Tg1 delle otto, intese come quelle del mattino, mentre di solito la Rai fa le cose più in grande: negli ultimi anni, all’annuncio mancavano solo le Frecce tricolori e un messaggio di Mattarella a reti unificate. Non sono mancati, invece, i consueti calembour cui il cognome dell’Abbronzatissimo si presta, tipo tornano i Conti, già letto ovunque, eccetera: ma si sa che Sanremo tira inevitabilmente fuori il peggio di tutti noi.
In fin dei Conti (ops!), si tratta dell’usato sicuro. Bravo soldatino Rai, quando l’azienda chiama il sor Carlo risponde. Lui stesso ha fatto notare che si tratta di un «bel modo di festeggiare»” i suoi primi quarant’anni in Rai, perché «il primo contratto risale al giugno 1985», come passa il tempo, ma si sa che la tivù di Stato è come i carabinieri, nei secoli fedele a sé stessa. Non ci saranno, «almeno non in presenza fissa» (sempre il conduttore-dir. art.), gli amici di sempre Pieraccioni & Panariello, «facciamo troppe cose insieme, non li sopporto quasi più quei due», e se lo dice lui…
Non è l’unica buona notizia. Pare che CC (Carlo Conti, non i caramba di cui sopra) voglia anche mettere un freno alla durata nibelungica delle serate, e abbia già fatto sapere che non finiranno all’alba come nel caso del suo predecessore Amadeus.
La macchina, del resto, la conosce. Conti di Sanremoni ne ha già officiati tre, nel triennio 2015-17, andati tutto sommato bene, se si eccettua la vittoria del Volo nel primo; ma nel terzo ci pensò la scimmia di Francesco Gabbani a dare la sveglia al pubblico (in mezzo, nel ’16, si imposero gli Stadio, senza lasciare grande traccia). Furono festival professionali, ben organizzati, senza sbavature e con polemiche contenute. Nel primo spuntò Conchita Wurst, versione woke e politicamente corretta della donna barbuta degli antichi Barnum, che oggi non credo sarebbe molto gradito all’attuale Rai nazionalsovranista. Idem per nastrini e braccialetti Rainbow indossati da quasi tutti, artisti e ospiti, a sostegno della legge Cirinnà.
A proposito: sarà interessante capire, ma lo sapremo, temo, soltanto a festivalone celebrato, quali e quante pressioni politiche saranno inflitte a Conti. Ad Amadeus chiesero di chiamare Povia, Hoara Borselli, Mogol e di farsi vedere attovagliato con Pino Insegno: che volete che sia, al confronto, la fuga al Nove? Vedremo quale “narrazione”, come si dice adesso, imporranno i cacicchi meloniani che finora, alla Rai, hanno dimostrato una volta di più che il padrone deve temere più i servi sciocchi che gli avversari. Speriamo che almeno si ricordino di Talleyrand: surtout, pas trop de zèle.
Però Carlo Conti sembra francamente attrezzatissimo per la bisogna. Professionale, lo è, e impeccabilmente. Ma, per Sanremo, ha anche la giusta dimensione nazionalpopolare, prevedibile il giusto, banale quanto basta, luogocomunista come si deve, capace di lanciare il bell’applauso e di spiegarci che non ci sono più le mezze stagioni. È il Presentatore qualunque, l’uomo che deve chiedere sempre, uno di noi, magari appena più lampadato, all’estrema sinistra della destra e all’estrema destra della sinistra, geneticamente democristiano: in medio stat virtus e anche gli ascolti. Medioman, insomma, come ecumenico, inclusivo, rassicurante dev’essere Sanremo, quest’infinita variazione sul tema che troviamo sempre nuova perché è in realtà sempre uguale. E quindi alla Nazione tocca, ogni anno, farci i Conti (scusate, è più forte di noi…).