TRIESTE Ci sono voluti i portuali per far scendere le lacrime vere. È davanti ai lavoratori delle banchine che il presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino si scioglie definitivamente nei giorni del lungo addio a Trieste. Alla Stazione marittima ci sono pure i politici, terminalisti e manager, ma sono i lavoratori a far battere il cuore di D’Agostino.
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Matteo sta alla porta, ricoperto di tatuaggi. Quando gli chiedi di Zeno lo sguardo burbero si addolcisce: «Un manager che ha dato cuore e anima per il porto, che dal suo livello si metteva a parlare coi facchini. Con lui l’alta borghesia e la plebe hanno saputo dialogare e non so chi altro ci riuscirà».
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Nella grande sala si mangia e si beve con moderazione inaspettata. Non si respira un clima di festa. L’atmosfera è malinconica perché quello che sta per consumarsi è un saluto definitivo. Il sindaco Roberto Dipiazza si prende D’Agostino sotto braccio tutte le volte che può, ci sono Francesco Russo, la leghista Anna Cisint, l’assessore regionale Pierpaolo Roberti.
E poi i protagonisti del porto: il segretario generale Vittorio Torbianelli, il presidente di Alpt e padrone di casa Franco Mariani, i vertici di Adriafer Pino Casini e Maurizio Cociancich, i terminalisti Enrico Samer e Matteo Parisi, il comandante della Capitaneria Luciano Del Prete, il presidente dell’Interporto Paolo Privileggio, i rappresentanti sindacali, varia imprenditoria e i portuali non in turno.
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«Un grande amico con cui abbiamo vissuto momenti incredibili», va sul classico Dipiazza, mentre Cisint rende onore al presidente che «mi ha insegnato tanto con la sua competenza». Del Prete indovina la metafora: «Perdiamo il commissario tecnico della nazionale». E poi c’è la gente normale. Come Marino Marini, che in porto lavora «da 52 anni» e che «di presidenti ne ho visti tanti ma ne ricorderò solo uno». O come Lara Tironi, che di D’Agostino ha gestito la segreteria dall’inizio: «Un’esperienza indimenticabile. Un maestro di lavoro e un grande presidente che mi resterà nel cuore».
Il complessino intanto si ferma e si scopre che due elementi su tre hanno lavorato in porto. «Grazie per tutto quello che hai fatto – dice il cantante – per tutto quello che ci hai dato, per la disponibilità continua verso i portuali. Difficilmente dimenticheremo. Hai creato la grande famiglia dell’Agenzia per il lavoro portuale e non capita spesso che un personaggio della tua levatura interloquisca con tutti pretendendo di farsi dare del tu». Il tastierista assesta una singola frase che dice tutto: «Ho visto morire il porto e con te l’ho visto rifiorire».
Alla fine sale sul palco D’Agostino. «Il momento è arrivato e si sapeva, ma è duro. Vedo facce, storie, passione, tanto cuore. È il tempo dell’intelligenza artificiale, ma a me piacciono i rapporti con la gente semplice e sincera, che ti prende e ti struca trasmettendoti quello che non riesce a dirti a parole». La voce si interrompe e parte il pianto. Durante il discorso succede più di una volta. I portuali applaudono con le loro manone. Tra loro, “Baluba” stempera e allunga una birretta al pres, che si ricompone.
«Non sono io che davo a voi, ma voi che davate a me. E non lo so dove troverò un altro posto dove mi stringeranno con queste braccia dure da portuale. Ora troverò abbracci diversi, quelli della mia famiglia, ma oggi penso a tutte le persone, alla squadra. Se ho un vero merito, è di saper costruire gruppi di persone meravigliose. Tutto questo mi dovete promettere che non sarà cancellato: solo così vorrà dire che non si sarà lavorato per niente in questi nove anni. Sono tre giorni che piango, sono stati gli anni più belli della mia vita».