Eh sì, che in Senegal abbia vinto le elezioni politiche Bassirou Diomaye Faye è anche “affare nostro”. I senegalesi, dopo settimane di tensioni, domenica hanno votato il nuovo presidente e le urne hanno consacrato il quarantaquattrenne candidato dell’opposizione. Perché ci riguarda tanto quello che accade a Dakar? Perché gli effetti della svolta senegalese portano incognite e ripercussioni economiche, in termini di gas, petrolio ed export, in Europa e in Italia in particolare.
Faye si è presentato alle elezioni come il “candidato del cambiamento”, pur avendo assicurato al mondo, subito dopo la vittoria, che il suo Paese rimarrà un "alleato affidabile" di tutti i partner stranieri "rispettosi". Nel suo programma si parla chiaramente di ripristino della “sovranità nazionale, svenduta ai Paesi Esteri”. Faye ha promesso di ridiscutere tutti i contratti minerari, del gas e del petrolio sottoscritti da Dakar coi colossi energetici internazionali. E, ex colonia francese, ha annunciato di voler uscire dal franco coloniale africano.
Il Senegal è uno dei Paesi chiave in Africa per l’Occidente. È ricco di giacimenti di gas e di petrolio e quindi l’Europa osserva con attenzione quanto sta succedendo. Ci saranno ripercussioni evidenti se la promessa della campagna elettorale sarà mantenuta. Ricontrattare e rivedere i contratti energetici siglati con i colossi internazionali per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi preoccupa gli investitori internazionali. Il Senegal è infatti uno dei Paesi fondamentali per un’Europa che si affranca dalla Russia per l'approvvigionamento di gas e petrolio. Roma ha un rapporto stretto con Dakar. Nel 2023 le esportazioni (di macchinari, apparecchiature e prodotti chimici) in Senegal hanno significato per l’Italia 236,43 milioni di euro (+11,4% rispetto all’anno precedente). A inizio anno i due governi (Roma e Dakar) hanno siglato un programma di Partneriato 2024-2025 finanziato con 105 milioni di euro. Si tratta di una serie di interventi mirati allo sviluppo e la crescita economica senegalese: occupazione, formazione, istruzione, ambiente, digitalizzazione. Il Senegal è uno dei tasselli del Piano Mattei del governo Meloni. E l’interesse strategico dell’Italia verso l’Africa è evidente, guardando i numeri. Nel 2013 nell’Africa sub-sahariana l’unico ufficio ICE (Istituto per il Commercio estero) era a Johannesburg. Oggi ce ne sono 8 e uno di questi è proprio a Dakar. E guardando agli scambi commerciali l’Italia è il secondo paese al mondo per import di prodotti africani (materie prime in particolare) e undicesimo per export).
C’è poi l’altro punto del programma del nuovo presidente senegalese: la riforma monetaria, con l’allontanamento dal franco Cfa. Faye prima del voto ha parlato chiaramente: l’idea è di lavorare per una moneta unica a livello sub regionale e “se non riusciremo a portare avanti le riforme a livello comunitario, ci assumeremo la responsabilità di dare al Senegal una propria valuta", ha dichiarato. Niger, Mali e Burkina Faso hanno già annunciato di voler creare una moneta comune regionale anticoloniale per sostituire il franco Cfa, ancorato all’euro. La politica monetaria “nuova” indebolirebbe ovviamente l’influenza francese ed europea nell’area.
Guardando il quadro completo, dunque, le elezioni in Senegal sono, eccome, una questione di Roma e di tutta l’Europa.