Dall’urlo “mondiale” di Spagna ’82 ad ambasciatore dello sport all’Onu. Marco Tardelli sta preparando le valigie: destinazione New York, Palazzo di Vetro. Tra il 5 e 7 aprile prossimi, infatti, uno dei più sanguigni, iconici, talentuosi centrocampisti italiani della storia del calcio sarà “goodwill ambassador” dello sport davanti a 4mila studenti provenienti da 140 paesi del mondo per partecipare a “Change the World-Model United Nations 2024”, il più prestigioso forum internazionale al mondo per studenti delle scuole e delle università. “Ho iniziato circa 12 anni fa quando Claudio Corbino, presidente dell’Associazione Diplomatici, venne a trovarmi a casa e decise che avrei dovuto tenere uno speech proprio al Palazzo di Vetro. A dire la verità ero abbastanza imbarazzato e anche oggi continuo un po’ ad esserlo”, spiega il 69enne Tardelli a FQMagazine. “I ragazzi che hai di fronte sono intelligenti e attenti, hanno voglia di lavorare su questa cosa; per simulazione diventano a loro volta ambasciatori dei loro paesi e cercano di risolvere i problemi che i loro ambasciatori sociali, etici e politici dovrebbero risolvere”.
Che sensazione hai provato in questi anni seguendo questo percorso?
Di sorpresa e di grande gioia. Sono poi stato io a portare all’ONU altri sportivi come Carlo Ancelotti, Michel Platini, Boniek, Andriy Shevchenko e Bebe Vio. Con lei fu un momento straordinario.
Cosa fa un “goodwill ambassador” quando è davanti agli studenti?
Parto dalla mia esperienza personale, racconto la mia carriera, le mie sensazioni: quando da ragazzino giocavo a calcio e i miei genitori non volevano che lo facessi. I valori che servono nello sport per andare avanti sono identici a quelli che servono per andare avanti nella vita. Forse nello sport le regole comuni a cui sottostare vengono rispettate di più che nella realtà fuori dal campo.
Insomma, funziona più l’arbitro nel calcio che la giustizia nei tribunali ordinari…
Oddio, non so come rispondere (ride ndr). Diciamo che ora l’arbitro è aiutato molto dalla Var e la cosa mi infastidisce.
I tuoi genitori non volevano che facessi il calciatore…
Volevano facessi l’impiegato col posto fisso. È un concetto che Checco Zalone ha spiegato molto bene. Io ero magrolino, pensavano fossi malaticcio, invece ero molto resistente. Poi lentamente la mia cocciutaggine, dote che non avevo nello studio o nella scuola, anche se ho preso il diploma, mi ha permesso di fare il calciatore.
Nei ricordi dell’adolescenza sui campetti di calcio anni ottanta/novanta ci si diceva e faceva di tutto…
Era un agonismo sano, dai. Quando si è in campo c’è ovviamente cattiveria, ma cattiveria sana. Bisogna distinguere le due cattiverie: quella rispettosa dell’avversario e quella irrispettosa. La prima è portata dall’agonismo, dalla voglia di vincere, dalla voglia di fare, è la normalità nello sport. Se fai calcio o il rugby non ci sono contrasti? Ci sono per forza. E nel pugilato? La cattiveria resta: non quella che ti spinge a fare un’entrata per spaccare una gamba all’avversario ma quella che ti permette di prendere il pallone.
Io comunque ricordo interventi tosti e violenti ai tuoi tempi. Benetti, ad esempio, qualche gamba l’ha spaccata…
A Benetti capitò una volta, dai. Poi certo, negli anni miei il calcio era un pochino più duro. Sentivamo il calcio come più di lotta e contrasto. L’importante è avere la testa sana per applicarla poi nello sport.
Si studia qualcosa per avere la testa sana o ce l’hai da quando nasci?
Lo sport ti aiuta ad averla. Ti porta dei valori: il coraggio, l’onestà, il rispetto.
Ti ricordi quante espulsioni e ammonizioni hai ricevuto nella tua carriera?
Guarda, io non sono stato un santo e lo dico. Però quando prendevo le botte non dicevo mai niente. Non puoi reclamare quando ricevi una botta se poi le dai anche. Ad ogni modo non ho mai rotto gambe a nessuno. L’avessi fatto sarebbe stato non intenzionale.
Oggi molti giocatori quasi si rompono da soli, stando fermi…
La fisicità è cambiata. Ci si prepara in palestra forzando al massimo. Di conseguenza strappi e stiramenti sono continui. Oppure oggi ti capitano scontri abbastanza pesanti: ci sono spesso ragazzi di un metro 85 o 90, con muscolatura enorme. Se ti viene addosso Lukaku ti fa del male. Poi una volta non c’erano tutti questi cartellini gialli per delle sciocchezze.
Un esempio, grazie…
Adesso per un pestone ti danno un giallo o addirittura un rosso. Non è più calcio, suvvia. Chissà, forse eravamo esagerati anche noi da giovani perché prima di essere espulsi dovevano passare botte vere, ma adesso proprio questo atteggiamento non mi piace.
Visto che parliamo di attualità: il caso Acerbi, che idea ti sei fatto?
Attendo la sentenza. Non voglio pensare che Acerbi abbia usato termini razzisti forti. Acerbi è un ragazzo che ha vissuto tanti problemi nella sua vita, non mi è sembrato mai uno così aggressivo e razzista. Non lo voglio pensare.
Sul tema razzismo, in campo, tra giocatori, ad oggi nel campionato italiano è andata piuttosto bene…
I giocatori sono brave persone: giocano e non guardano il colore della pelle o altre stupidaggini che ti raccontano in giro. Alla mia epoca ho avuto la possibilità di giocare con persone diverse, da paesi diversi, è sempre stata una gioia integrarsi. In Italia l’integrazione è la normalità. Ed è proprio questo uno dei valori di cui mi faccio ambasciatore all’Onu di fronte agli studenti. Di questo ringrazio l’Associazione Diplomatici che con “Change the World” sta contribuendo a creare una nuova sensibilità rispetto a importantissimi temi, come la lotta al razzismo, ma anche la solidarietà, la lealtà, l’inclusione, il rispetto delle diversità, l’esaltazione dei valori della democrazia.
Come si sta al Palazzo di Vetro dell’ONU?
Quando la sala generale è libera si fa questo speech proprio lì dove spesso siedono i capi di stato. E dove solitamente siedono gli ambasciatori e diplomatici ufficiali siedono i ragazzi. L’anno di Shevchenko la sala era occupata (era appena iniziata la guerra in Ucraina ndr) e facemmo, come spesso capita, l’incontro allo Sheraton Hotel. Anche Bill Clinton lo fece lì. Quell’anno c’era anche Giovanni Malagò.
E tra le reazioni dei ragazzi quale ricordi con più piacere e sorpresa?
Una fantastica situazione venne a crearsi con Liliana Segre. Ha raccontato la sua storia e tanti ragazzi sono rimasti ad ascoltarla e le hanno mandato circa 2mila biglietti per parlarle di persona. Fu una sensazione bellissima. Un altro incontro memorabile fu quello di Francesco Messori, un ragazzo che ha creato la nazionale amputati.
Da quanti anni sei opinionista in tv alla Domenica Sportiva?
La prima volta in Rai c’era ancora Tito Stagno (ride ndr – Stagno commentò lo sbarco sulla Luna, poi si occupò per decenni della DS ndr).
Si può essere ambasciatore di valori nello sport, come fai all’Onu, anche dalla tv?
Lo puoi fare raccontando quello che realmente pensi, senza fregare lo spettatore. Cioè senza raccontare balle.
Last but not least: allora l’Inter vince lo scudetto…
(ride) È scontato! Lo dici per scaramanzia perché sei tifoso dell’Inter?
No, no, tifo per il Bologna…
Siete stati fortunati quest’anno… nel senso che avete fatto un gran gioco e buoni acquisti.
Quindi il Bologna in Champions ci va?
Il Bologna dovrà comunque lottare. Non è lì per caso, intendiamoci. Ha giocato bene e ha speso poco. Intendo proprio a livello economico: ci lamentiamo tanto dei debiti e delle spese delle squadre di A, ma andiamo sempre oltre con troppi soldi. Invece il Bologna di Saputo è una società sana ed è un bel vedere.
L'articolo Marco Tardelli all’Onu per parlare ai ragazzi: “Grande gioia, i valori dello sport sono quelli della vita”. E sul campionato: “Il Bologna in Champions? Dovrà lottare. E l’Inter…” proviene da Il Fatto Quotidiano.