BELGRADO La guerra in Ucraina si prolunga, con la Russia che non sembra in grado di dare il colpo di grazia alla resistenza di Kiev, sostenuta dall’Occidente? Mosca manovra allora dietro le quinte e in maniera sempre più pervasiva per tentare di aprire nuovi fronti lontano dall’Ucraina, tra operazioni coperte e piani destabilizzanti, spostando così l’attenzione dal fronte ucraino. E in questo scenario, allarmante, i Balcani sono in alto nella lista in mano al Cremlino.
È questo lo scenario che è stato disegnato da una fonte autorevole, il Royal United Services Institute for Defence and Security Studies (Rusi), il think tank specializzato in sicurezza e difesa più antico al mondo, fondato nel 1831 dal duca di Wellington, Arthur Wellesley e da sempre incaricato di fornire informazioni e “alert” alle istituzioni di Londra, ma anche ad alleati Nato e all’Occidente in generale.
E di serio alert, anche per quanto riguarda la regione balcanica, si può parlare circa il rapporto sulle «minacce del warfare non convenzionale della Russia oltre l’Ucraina», da poco reso pubblico a firma degli analisti Jack Watling, Oleksandr V. Danylyuk e Nick Reynolds.
Lo studio parte da un presupposto: Mosca mette «strumenti militari convenzionali» e tattiche «non convenzionali» sullo stesso piano e queste ultime rimangono «centrali» per il Cremlino.
E non solo in Ucraina, ma in maniera crescente anche lontano dal teatro di guerra, con Mosca che starebbe muovendosi più o meno sottotraccia in Africa «per prendere il controllo di risorse critiche»; in Medio Oriente per aumentare il consenso a suo favore; e nei Balcani. Balcani, hanno avvisato gli studiosi del Rusi, che «presentano un particolare ampio spettro di opportunità» per Mosca per creare nuovi fronti di crisi attraverso operazioni militari non convenzionali, ma anche per porre in atto «minacce strategiche a membri Nato» attraverso l’opera dei servizi speciali russi.
Gli esempi non mancano. Già prima della guerra all’Ucraina, nel 2016, quando il Montenegro era avviato verso l’adesione alla Nato, il “Centro 161”, una unità dell’intelligence militare russa, sarebbe stato l’artefice «del tentato colpo di stato» a Podgorica, ha svelato il Rusi.
Ci sono poi operazioni misteriose più recenti, come «i tentativi di destabilizzare la Moldova» nel 2022, attraverso dimostrazioni di piazza da eterodirigere per creare il caos e poi nel 2023. In quest’ultimo caso fra la manovalanza da usare ci sarebbero stati «cittadini serbi, in particolare hooligan del Partizan», bloccati tempestivamente dalle autorità moldave, con relativa mezza crisi diplomatica tra Chisinau e Belgrado. Il Centro 161 sarebbe ancora molto attivo nella regione balcanica, con l’unità che «ha un budget per finanziare studenti nei Balcani, in Africa e altre regioni» interessanti per Mosca. Non si tratterebbe di beneficienza, bensì di uno strumento di «reclutamento» di nuove leve o quinte colonne. Ma ci sono anche altre vie altrettanto pericolose. Una sarebbe la Fondazione Akhmat Kadirov, «particolarmente attiva nei Balcani, dove ha stabilito contatti con autorevoli rappresentanti musulmani, non solo religiosi, ma anche politici», praticamente in tutti gli Stati della regione. E anche qui, dietro il paravento, si celerebbero fini destabilizzanti e di proselitismo, oltre che di propaganda filorussa e anti-occidentale.
Il messaggio dello studio? L’Europa, in un anno di delicate elezioni, e i Balcani in particolare stiano allerta. Perché la longa manus di Mosca potrebbe essere ben più lunga di quanto si immagini.