Il 29 febbraio 2020 il primo paziente positivo nella nostra regione. Riccardi: «Fare tesoro di quello che abbiamo imparato in pandemia»
UDINE. Sono trascorsi quattro anni esatti dallo scoppio della pandemia in Friuli Venezia Giulia. Era il 29 febbraio 2020, infatti, quando a Gorizia venne riscontrata la prima positività al coronavirus di un residente in regione. Fino a quel momento il contagio aveva riguardato quasi esclusivamente Lombardia e Veneto.
E se certamente tutti, in particolare ai vertici della sanità e delle istituzioni, sapevano bene che, in un mondo interconnesso come il nostro, sarebbe stata soltanto questione di tempo prima che il virus arrivasse anche alle nostre latitudini, la certificazione del primo contagio cambiò tutto.
Quattro anni, quasi 6 mila 500 morti e mezzo milione di contagi (ufficiali) dopo, il Covid si è trasformato in qualcosa di simile a un’influenza, ma ha lasciato dietro di sè strascichi pesanti e una serie di lezioni che la Regione, ma sarebbe meglio dire l’Italia, farà bene a non dimenticare.
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«In linea di principio – racconta l’assessore alla Salute Riccardo Riccardi rievocando gli anni della pandemia – il Covid non ha insegnato niente di nuovo rispetto a quello di cui il sistema era già a conoscenza. Il nocciolo della questione, in realtà, è quello di fare tesoro di questa esperienza, perchè il sistema stesso è stato testato nella pratica palesando il fatto di come tutte le decisioni fondamentali che non sono state prese negli anni precedenti hanno messo in evidenza i punti critici del comparto».
In realtà c’è una lezione che più delle altre andrebbe imparata, secondo Riccardi, e cioè la mancanza dei dispositivi di protezione, soprattutto nelle prime settimane di pandemia, costata migliaia di morti. «Il Covid ci ha spiegato nitidamente – continua l’assessore – che a causa dell’interesse economico e finanziario siamo diventati ostaggi, e spesso pure sotto ricatto, di Paesi nei quali i processi di delocalizzazione ci hanno fatto perdere pezzi di produzione strategici.
Produzioni che sarebbero state fondamentali per salvare la vita delle persone. Un Paese, ma direi un continente, non può privarsi di un’intera catena di produzione perchè altrimenti, come certifica l’esperienza della pandemia, poi si rischia di pagare un conto particolarmente elevato».
A livello regionale, proseguendo, le riflessioni sono altre.
«Ci sono stati tre elementi di cui fare tesoro e che considero strategici – sostiene Riccardi –. Parlo della generosità e dell’abnegazione dei nostri medici e infermieri, senza i quali non saremmo mai stati in grado di superare la tempesta. Oltre a questo mi permetto di citare il ruolo delle farmacie con la loro capillarità sul territorio, abbinata alla flessibilità, e l’utilizzo degli specializzandi».
Quanto alla decisione più impegnativa, l’assessore non ha dubbi. «È stato molto difficile trovare il punto di equilibrio – conclude – tra le richieste dei sanitari e il desiderio di libertà dei cittadini, specialmente con il passare dei mesi.
Quando abbiamo chiuso le scuole in regione, ad esempio, non tutti erano felici, ma alla fine è stata una delle scelte più giuste e importanti».