Avevano fornito ai medici la lista dei fragili. Nessun pronunciamento su Gorizia e Trieste. Il giudice civile: il trattamento dei dati ha avuto origine da una delibera della giunta, cui è seguito un accordo
PORDENONE. Asfo (Pordenone) e Asufc (Udine) non hanno violato la privacy dei pazienti quando trasmisero ai medici di medicina generale i nominativi dei pazienti fragili affinché potessero essere invitati a vaccinarsi.
Così, i rispettivi tribunali civili ordinari hanno annullato la multa inflitta dal Garante per la privacy pari a 55 mila euro per ciascuna azienda sanitaria.
Su Asugi (Trieste e Gorizia) non vi è stato ancora il pronunciamento. Ad ogni modo, il Garante, almeno per quanto riguarda Asfo, non ci sta e ha già depositato ricorso per Cassazione, mentre l’Azienda sanitaria Friuli Occidentale ha dato mandato ai legali di resistere.
Non è ancora stata fissata l’udienza. Il caso si originò un paio di anni fa. Si era in piena pandemia e le tre Aziende sanitarie del Friuli Venezia Giulia avevano trasmesso ai medici di medicina generale i nominativi dei pazienti fragili affinché, visto il rischio comportato dal Covid, potessero essere invitati a sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica.
Ma gli interessati non erano stati informati. Sollevato da un medico di base, il caso era stato portato al vaglio del Garante della privacy che, il 15 dicembre 2022, aveva sanzionato tutte e tre le Aziende – 55 mila euro ciascuna – che impugnarono il provvedimento davanti al tribunale.
A monte dell’azione delle aziende sanitarie, la delibera della giunta regionale del 20 novembre 2020 con la quale ai medici di medicina generale era demandato il compito di individuare, attraverso un algoritmo che incrociava le patologie, una lista di pazienti fragili da invitare alla vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica.
Una scheda, in sostanza, ovvero «una comunicazione dei dati sulla salute dei propri pazienti senza possibilità per gli stessi di verificare se l’Azienda sanitaria abbia preventivamente assunto il consenso al trattamento dei dati per finalità di stratificazione statistica» evidenziando come la disciplina preveda «la trasmissione ai fini statistici o amministrativi in modo del tutto anonimo».
La quantità di esami, le visite specialistiche e i farmaci assunti creavano una sorta di identikit del paziente a rischio al quale inviare una lettera di sensibilizzazione sull’opportunità di sottoporsi alla vaccinazione. Complessivamente sarebbero stati “schedati” 40 mila assistiti di cui 17 mila nell’Udinese, 9 mila 400 nel Pordenonese e i rimanenti tra Trieste e Gorizia.
La Regione si era difesa sostenendo che «l’identificazione degli assistiti e il loro inserimento in lista trova il fondamento giuridico nel consenso generico fornito dall’interessato e relativo alla visibilità da parte del medico di medicina generale». Le aziende sanitarie avevano richiamato le normative nazionali e regionali comprese quelle relative alla riorganizzazione dei livelli di assistenza. L’ufficio del Garante, tuttavia, aveva ritenuto che «gli elementi forniti dal titolare del trattamento nelle memorie difensive non consentono di superare i rilievi» e ha quindi ordinato la cancellazione delle liste entro 90 giorni.
La mossa delle aziende sanitarie, peraltro, aveva il consenso indiretto della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri e della Federazione regionale dei medici di medicina generale. Le tre aziende sanitarie avevano fatto ricorso al giudice ordinario: Asfo e Asufc hanno già ottenuto ragione. «Il fatto di avere elencato i pazienti con patologie complesse e accessorie, in quanto destinatari della vaccinazione anti influenzale, non significa averne violato la privacy, bensì averne tutelato le condizioni di salute», ha motivato il giudice del tribunale di Udine. «L’opposizione è fondata», rileva il giudice del tribunale di Pordenone.
I dati delle aziende sanitarie e di Insiel traggono origine dalla Regione, «titolare del potere legislativo e regolamentare», e pertanto «detiene i codici sorgente delle applicazioni del sistema informatico sanitario regionale». Asfo «non ha alcun potere nei confronti della Regione e della sua direzione centrale, dalla quale anzi dipende, come Insiel». In sostanza, prosegue il giudice, «il titolare è colui che tratta i dati senza ricevere istruzioni da altri, colui che decide perché e come devono essere trattati i dati».
Il Garante, è la conclusione, «non ha provato alcun ruolo attivo di Asfo». La multa, dunque, è stata annullata e le spese di giudizio assegnate all’ufficio del Garante. Avverso quella sentenza lo stesso Garante ha depositato ricorso per Cassazione e Asfo ha dato mandato di resistere a legali esterni.
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