foto da Quotidiani locali
Urna continua. Accanto alla chiamata generale per le europee, il calendario elettorale 2024 propone una serie di test parziali di assoluto rilievo: 5 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna, Umbria), e 3.700 Comuni, di cui 27 capoluoghi di provincia (tra cui Bari, Cagliari, Firenze).
Il Nord Est concorre in quota-parte significativa: 309 Comuni in Veneto su 563, tra cui un capoluogo (Rovigo); 113 su 215 in Friuli Venezia Giulia. Numeri di peso, in un contesto politico volatile: uniti a quelli del voto europeo, saranno fondamentali per interpretare gli scenari prossimi venturi.
In questo senso, il Veneto è l’area sicuramente più calda, visto che l’anno prossimo sarà interessata alle elezioni regionali, già oggi al centro di un confronto sempre più spigoloso. Salvo sconquassi, per l’ennesima volta dal 1995 in poi, la partita sembra destinata a giocarsi all’interno del centro destra. Ma sarà tutt’altro che un’amichevole: sulla scorta del voto politico 2022, la Lega finora egemone in regione parte a handicap rispetto ai rampanti Fratelli d’Italia, dai quali è stata più che doppiata (32 per cento contro 14); e il responso che daranno le urne 2024 sarà fondamentale per capire quante chances abbia di sovvertire un pronostico ad oggi infausto.
Determinante sarà con tutta evidenza il voto europeo, che chiama in causa l’intera platea regionale; ma avrà il suo peso anche l’esito amministrativo di centri di dimensioni significative: da Rovigo (dove ora governa il centrosinistra) a Vittorio Veneto (centrodestra), da Portogruaro (commissariato, già centrodestra) a Bassano (centrodestra).
Per il resto, sarà arduo trarne indicazioni generali: da tempo, a Nord Est, le elezioni comunali vedono una netta prevalenza, sia in presenze che in successi, delle liste civiche: molte delle quali legate a situazioni locali e al peso dei candidati sindaci, di difficile attribuzione ai due schieramenti nazionali di destra e sinistra. Ancor più complicati appaiono i pronostici.
Il più recente sondaggio Ipsos conferma che l’area della potenziale astensione resta più che mai elevata, superando la soglia di quattro elettori su dieci. A questo trend ormai consolidato si aggiunge una novità: due elettori su tre potrebbero cambiare voto rispetto a quello più recente delle politiche 2022. Anche qui, in fondo, si tratta peraltro di una tendenza in atto da tempo: una volatilità delle urne che negli ultimi anni ha di volta in volta lanciato in orbita e riportato al suolo leader di schieramenti diversi, da Renzi a Grillo a Salvini; e che nel’22 ha puntato su un volto nuovo, Meloni.
Tra cambi seriali e rifiuto in massa del voto, è comunque il segnale di un progressivo allarmante distacco tra opinione pubblica e politica, o meglio una certa politica. Per ridurlo in modo significativo, non c’è bisogno di ricette miracolose. Gli ingredienti, semplici quanto fondamentali, li ha indicati il presidente di Confindustria Veneto in una recente intervista: regole certe e ambiente stabile. L’esatto opposto di quanto si sta verificando ormai da troppo tempo, con governi di ogni natura (destra, sinistra e tecnici). Con una ricaduta esiziale: ridurre ogni appuntamento elettorale, grande o piccolo, a quello che il politologo Ilvo Diamanti ha inquadrato con un azzeccato gioco di parole: un salto nel v(u)oto.