TRIESTE Hanno conseguito la laurea in Scienze dell’educazione negli anni accademici 2020 e 2021 per poi scoprire che, a causa di una modifica legislativa, quel titolo non è più sufficiente per esercitare la professione nei nidi d’infanzia.
Alcune centinaia di laureate e laureati dell’Università di Trieste si ritrovano oggi bloccati da una complicata vicenda burocratica cui l’ateneo giuliano ha cercato finora di mettere una pezza che per i diretti interessati odora di beffa.
Il decreto legislativo 65 del 2017, che ha riformato il settore, prevede infatti che per insegnare nei servizi educativi per l’infanzia dedicati ai bambini tra gli zero e i tre anni serva una laurea di classe L19 con uno specifico indirizzo “infanzia”.
L’indirizzo è stato attivato regolarmente dai due atenei regionali di Trieste e Udine a partire dal 2018. Ma mentre Udine è corsa ai ripari anche per gli iscritti agli anni precedenti, con un’integrazione inserita nel piano di studi, le più di 200 persone che si erano iscritte a quel tempo alla laurea in Scienze dell’educazione a Trieste si sono trovate incastrate nelle maglie di una riforma che non consente loro di lavorare con il titolo di studio conseguito.
«Quando la riforma è entrata in vigore siamo state rassicurate dall’ateneo sul fatto che, in base a una circolare ministeriale, il titolo che avremmo conseguito sarebbe stato comunque valido per l’accesso lavorativo ai servizi alla prima infanzia», spiegano le portavoce della quarantina di laureate di UniTs che ha deciso di denunciare l’anomalia:
«Ma non è andata così. L’ateneo, compiendo un errore madornale, non ci ha avvisato di questo problema, ma ha dovuto comunque intervenire per sanarlo».
Sia i concorsi pubblici sia le selezioni nelle cooperative private chiedono infatti la laurea con l’indirizzo specifico oppure il conseguimento della laurea generica entro giugno 2020, tagliando di fatto fuori tutti i laureati degli anni successivi, a causa di un’interpretazione della norma del Ministero differente rispetto a quella data in un primo momento.
Chi è rimasto con il cerino in mano dovrà ora integrare la propria laurea ricorrendo a costosi corsi telematici privati o iscrivendosi al corso extracurricolare che UniTs ha creato per i malcapitati. Un corso dal costo originario di circa 500 euro ritenuto infattibile da chi già lavora: prevede infatti che il candidato passi 10 esami entro gennaio 2025 e svolga 300 ore di tirocinio.
Per i diretti interessati si tratta di una beffa bell’e buona. Perciò si sono rivolti all’Apei, l’Associazione pedagogisti educatori italiani, che ha inviato una lettera all’Università di Trieste con l’istanza di venire loro incontro.
Si è chiesto dunque di diminuire il costo del corso, di ridurre al numero legale necessario i crediti da conseguire (che sarebbero 55 e non 87 come previsto dal corso UniTs) nonché le ore di tirocinio richiesto, di posticipare la scadenza per iscriversi al corso e per finirlo, in modo che chi lavora possa affrontarlo più agilmente.
Con una lettera il rettore Roberto Di Lenarda ha risposto che «si sta valutando la semplificazione del percorso, tirocini compresi», per «ridurre al massimo l’impatto sulla platea di interessati», e che, grazie a un finanziamento regionale per gli anni accademici 23/24 e 24/25, i corsi integrativi si potranno frequentare gratuitamente. «Ciò non ci toglie il sapore amaro di bocca, l’Università avrebbe dovuto avvisarci di questo problema e correre subito ai ripari, invece ci sono colleghe che si sono laureate da pochissimo e altre che ancora devono conseguire il titolo ancora ignare del fatto che quello conseguito non sarà loro sufficiente per esercitare la professione», è la conclusione del gruppo delle laureate.
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