La famiglia è il cuore della nazione. La senatrice Ester Mieli introduce il dibattito su donne, gender, famiglia e famiglie e le viene concesso il primo applauso da una sala gremita e curiosa. Accanto al ministro Eugenia Roccella siede Ivan Scalfarotto, senatore di Iv, tutto soddisfatto, “del resto – chiosa – la vostra manifestazione si chiama orgoglio, insomma è un Pride…”. Dall’altra parte prende posto Francesco Borgonovo, vicedirettore della Verità, che si incarica di polemizzare subito con Paola Concia, collegata in video dalla Germania. Laura Tecce, che modera il dibattito, dà subito fuoco alle polveri: l’educazione all’affettività spetta alla famiglia o alla scuola?
Roccella risponde con pacatezza, com’è nel suo stile. Non ha voglia di fare polemiche. “L’educazione inizia dalla famiglia. Ognuno di noi è figlio di un uomo e una donna, e attraverso il rapporto tra mamma e papà, il figlio forma la sua personalità. E’ da lì che parte il rispetto nei confronti della libertà femminile. Troppi uomini oggi, in proporzione pochi ma troppi per i danni che producono, non hanno digerito il percorso di conquiste di libertà che hanno fatto le donne in tutti questi anni, ed è su questo che dobbiamo agire. La scuola è un’agenzia educativa fondamentale, ma non può sostituire la famiglia”.
Paola Concia difende invece il progetto con cui era stata chiamata a collaborare. “Spettava agli insegnanti coinvolgere i ragazzi su certi temi mica a me o a suor Monia, io mi auguro che il progetto vada comunque avanti in uno spirito di dialogo. Io per essere qui ad Atreju sarò accusata sicuramente di essere fascista. Il clima purtroppo in Italia è questo”.
“Ho sempre combattuto i pregiudizi – ha aggiunto Concia – non solo perché li ho subiti personalmente, come ad esempio è successo la scorsa settimana che sono stata attaccata per la mia biografia, e non per quello che volevo fare. Per me il dialogo con chi è diverso da me è fondamentale”.
Borgonovo invece a un po’ di polemica non rinuncia: “Io ho guardato il sito di Indire, che avrebbe dovuto formare all’insegnamento dell’educazione all’affettività, e ho visto che si dovrebbero combattere a scuola gli stereotipi di genere. Ora, se questo significa che il maschio può giocare con le bambole e la femmina con i soldatini va bene ma se significa che la femmina non è tale perché ha l’utero e il maschio non è tale perché ha un altro organo riproduttivo allora mi preoccupo…”.
Il gender – aggiunge Roccella – negando la libertà di usare la parola donna perché discriminatoria è un rischio per l’identità femminile. “Potremmo addirittura dire che questa è una nuova forma di patriarcato“. Scalfarotto si inserisce: “Il percorso dell’uguaglianza di genere non è completo. C’è il tema degli stipendi delle donne che non sono come quelli degli uomini e il governo su questo che ha fatto? Ha alzato l’Iva sui pannolini“. “Non è vero – ribatte Roccella – non abbiamo affatto alzato l’Iva sui pannolini, ma è diminuita al 10% rispetto a quella che c’era prima che era del 22%”. Su un punto però si trovano tutti d’accordo: il problema della denatalità c’è ed è serio. Anche perché – si chiede Scalfarotto – chi le paga poi le pensioni?
L'articolo Il patriarcato? C’è quando non si può usare la parola donna. Il dibattito su famiglia e gender ad Atreju sembra essere il primo su Secolo d'Italia.