«Per Giulia facciamo un minuto di rumore». L’esortazione che martedì ha attraversato tutte le piazze d’Italia, a non mettere mai più sotto silenzio le storie di prevaricazione, di violenza e di morte verso le donne, è stata gridata anche in piazza Marconi alla manifestazione organizzata da “Non una di meno”.
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E a fare rumore, martedì pomeriggio, c’erano oltre duecento persone. Donne e uomini, diversi bambini. A colpire è l’età media di chi ha voluto esserci per dire basta ai femminicidi, a quello di Giulia e ai tanti (troppi) che lo hanno preceduto (106 soltanto quest’anno): giovani, molto giovani.
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«Siamo qui per gridare che noi donne non siamo oggetti, siamo soggetti – dice una rappresentante di Non una di meno, una delle tante a prendere la parola – i bambini vanno educati a questo principio, gli uomini devono essere educati. Basta con queste canzoni che dicono “tu sei mia”. Occorre disobbedire a chi ci considera oggetti».
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Al microfono parlano tante ragazze giovani. Una studentessa di sedici anni spiega di auspicare «giustizia vera nei confronti dell’assassino di Giulia Cecchettin». Un’altra, diciannovenne, dice che «Giulia era una ragazza che si illudeva di essere circondata da persone che non le avrebbero mai fatto male. Io voglio che non venga dimenticata, le donne uccise non sono solo numeri». Poi il minuto di rumore come controcanto al minuto di silenzio fatto nelle scuole. I cartelli tenuti da molti recitano la frase simbolo: «Se domani non torno, sorella, distruggi tutto».
