foto da Quotidiani locali
TRIESTE Mauro Godignani non stacca un attimo gli occhi da quel giornale ingiallito dal tempo. C’è un’illustrazione a tutta pagina: un aereo in fiamme si sta inabissando, in mezzo alle onde un uomo nuota disperatamente. Ha un bambino sulle spalle, avvinghiato al collo. «Quel bambino sono io» dice Godignani, 83 anni, tornando indietro con i ricordi e iniziando a raccontare la sua storia che meriterebbe un film e, forse, diventerà un libro.
La tavola a colori, disegnata dall’artista Aldo Raimondi, è la ricostruzione di una pagina eroica e commovente che lo riguarda, avvenuta il 24 novembre 1942. “Un idrovolante postale con a bordo alcune famiglie che rientravano da Tripoli in Italia, fu assalito da caccia inglesi che uccidevano la madre e la sorella del piccolo Godignani e incendiavano l’aereo. Il bimbo, rimasto incolume, fu salvato dal sergente dei bersaglieri Ciro Del Vento dopo una lotta coi flutti durata due ore” recita la descrizione dell’Illustrazione del popolo, supplemento alla Gazzetta del popolo, uscito il 10 gennaio 1943.
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Quel bambino diventato uomo, oggi marito, padre, nonno che risiede a Muggia, nasce il 2 aprile 1941 a Tarhuna, nella Tripolitania all’epoca italiana. Ma la storia inizia molto prima, in Istria e a Trieste, per arrivare in Africa... I genitori di Godignani, papà Carlo e mamma Guerrina, si conoscono per caso. Lui, triestino, diventa il gerente dello spaccio di Albona dove lei fa la cassiera. Si innamorano. Matrimonio nel 1934, viaggio di nozze a Venezia e quattro anni dopo arriva Donatella, la primogenita. A Carlo viene affidato il compito di organizzare una rete di negozi in Libia e così la famiglia si trasferisce nel 1938 a Gasr Garabulli, la Castelverde fondata dagli italiani.
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La seconda guerra mondiale, però, è dietro l’angolo. Senza il marito vicino, aggregato alla Folgore, e con due bambini piccoli Guerrina decide di rientrare ad Albona. Quella terra non la sente più sicura per i suoi figli, nonostante le rassicurazioni di Carlo che, alla fine, acconsente alla partenza.
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L’occasione è rappresentata da un aereo postale, diretto in Sicilia, dove mamma e figli trovano posto; siedono vicini al bersagliere Ciro Del Vento che sta rientrando a Orta Nova nel foggiano e si presta gentilmente a dare una mano a quella famiglia. Donatella piange, vuole stare con la mamma, allora Ciro prende sulle ginocchia Mauro. Una circostanza che cambierà il suo destino.
L’aereo viene colpito dal fuoco inglese a un motore e i piloti tentano un ammaraggio di fortuna: si inabissa quasi subito al largo di Sfax, in Tunisia.
«Alcuni barcaioli si portarono al largo per recuperare eventuali superstiti. Trovarono Ciro il bersagliere e alle sue spalle aggrappato un bimbo: sono io, Mauro, quel piccolo dagli occhi sbarrati, attonito, terrorizzato, intirizzito dal freddo in quella mattina di novembre. Mamma e Donatella non c’erano più».
E adesso che fare, senza né mezzi né denaro con un bambino appresso? Ciro decide di non abbandonare Mauro e lo porta con sé. Si imbarcano su un aereo diretto a Castelvetrano e poi raggiungono la Puglia. Dopo tutto aveva ricevuto in consegna dalla madre quel bimbo di cui ignorava ogni cosa tranne il nome. Lo avrebbe adottato, lo sentiva suo.
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Papà Carlo, rientrato dal fronte, non immagina nulla della tragedia: crede che Guerrina e i figli siano al sicuro. Non arrivano telegrammi e questo lo preoccupa. Il dispaccio sull’abbattimento di un aereo postale attira però la sua attenzione. Parte così da Tripoli per la Sicilia e scopre la triste verità. Ma gli dicono che un bambino è ancora vivo, diretto a Orta Nova con quel bersagliere. Prende il primo treno e abbraccia così di nuovo il suo Mauro.
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«L’arrivo di mio padre fu un dramma per Ciro, non mi voleva perdere, ormai si era affezionato, abitavo in casa Del Vento da due mesi» racconta Mauro, portato dai nonni materni ad Albona, ancora all’oscuro della morte della figlia.
«La corriera giunse nella piazza del paese. Scendemmo e subito prendemmo la discesa che porta alla contrada Santa Caterina, dove c’era la casa di nonna Linda… Mio padre bussò, attorno al focolare c’erano anche gli zii Maria ed Ettore, la cuginetta Fiorella che ci fecero delle grandi feste chiedendo dove fossero Rina e Donatella. La nonna corse in strada pensando si fossero attardate, ma dopo qualche attimo ricomparve pallida e sconvolta. Al racconto di quanto avvenuto tutti scoppiarono a piangere».
Carlo lascia in buone mani Mauro per rientrare così al fronte dove, dopo la battaglia di El Alamein, gli scontri delle truppe italiane contro gli inglesi proseguono fino alla resa nel maggio 1943. «Mi chiedevo se l’avrei più rivisto» il pensiero di un bambino chiamato a staccarsi di nuovo da suo padre.
Ma per Mauro le avversità non sono ancora finite. Alla fine della seconda guerra mondiale si profila un altro distacco davanti all’Istria, Fiume e la Dalmazia cedute alla Jugoslavia e il dramma dell’esodo degli italiani. Deve lasciare Albona nel 1947. «Gli jugoslavi non vedevano di buon occhio né chi se ne andava né quelli che restavano. La partenza a bordo di un camion fu drammatica: fummo bersagliati da epiteti, scherniti... Ricordo che ci sputarono addosso, il carico di masserizie, la tristezza di dover lasciare tutto».
Un’altra casa lo attende a Trieste, dagli zii Gilli e Pino, con papà Carlo pronto a venire a prenderlo per riportarlo in Africa dov’era rimasto per rimettere in piedi, dopo la prigionia, l’attività commerciale una volta finita la guerra. «Bisognava prepararsi alla nuova vita di Tarhuna, lì non ci sarebbero stati gli zii o altri parenti. Dopo il viaggio in treno salimmo su un bimotore: ero al secondo volo, il primo fortunatamente non lo ricordo…».
Nel 1948 l’inizio della politica anti-italiana in Libia spinge molti ad andarsene. I Godignani rimpatriano, assieme al cane “Grif” nascosto in una borsa, a bordo della nave passeggeri Argentina il 15 agosto 1949. Si ricomincia tutto da capo, un’altra volta: capolinea ancora Trieste. Il negozio di alimentari in via Fortunato, Mauro a scuola prima in via Guardiella e poi in collegio a Gradisca dove non finisce gli studi.
È nella fase adolescenziale ribelle, rimugina l’idea di trovare colui al quale deve la vita: vuole sapere, capire e avere delle risposte che suo padre non può o non vuole dargli. «Una mattina presi il treno per Orta Nova. Ero certo che solo là avrei trovato le risposte a tutte le domande». L’indirizzo non lo conosce, ha solo un nome: Ciro Del Vento.
«Entrai nell’unico bar, ordinai un caffè e chiesi se qualcuno lo conoscesse. A un certo punto mi sento battere sulla spalla: un uomo baffuto, piccolo e grassoccio mi domanda che vado cercando da lui. Vidi due occhi piccoli che s’illuminarono, ci fu un silenzio lunghissimo, nessuno trovava le parole. Il primo a parlare fu lui, mi disse con le lacrime agli occhi “vieni a casa mia”. Dopo diciassette anni eravamo riusciti a incontrarci».
«La prego, mi dica che volto aveva mia madre? Con voce rotta dall’emozione iniziò a raccontare e rivisse con me la scena del naufragio, il destino di mia madre, di mia sorella… il nostro. In quei sette giorni mi trattò come un figlio. Non ci siamo più lasciati…». Ogni anno l’incontro con il suo secondo papà in quel paesino del Sud dove il muratore Ciro, diventato imprenditore edile, ha costruito la torre campanaria che, con la posa di una targa fatta mettere da Mauro nel 1995, ricorda l’atto eroico del sergente maggiore.
Dopo aver navigato, completato gli studi da autodidatta mentre lavorava come operaio, Mauro Godignani si è sposato con Nevia Maria, con la quale ha avuto due figli: Donatella, in ricordo della sorella, e Flavio che hanno potuto sentire dalla voce di Ciro questa storia. «Ero io quel bambino».
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