BELGRADO. Luce verde, ma con evidenti venature gialle, per la Bosnia-Erzegovina. E bacchettate a Serbia e Kosovo, che rischiano il semaforo rosso nel loro percorso d’integrazione nell’Unione - oggi a gradi di avanzamento profondamente diversi - se non si impegneranno a pacificare le proprie relazioni una volta per tutte. Sono i punti-chiave dei rapporti annuali sullo stato d’avanzamento del processo d’adesione resi pubblici ieri dalla Ue, il cosiddetto «2023 Enlargement Package», attesissimo quest’anno anche perché Bruxelles ha in più occasioni, nei mesi scorsi, riassicurato i partner balcanici sul fatto che le porte della Ue rimangono aperte e che si vuole veramente velocizzare l’integrazione della regione. Ma dalle parole ai fatti il passo, come sempre, è lungo e pieno di sorprese, spesso negative.
Non può così festeggiare appieno Sarajevo, che ieri si attendeva - dopo le pressioni di Paesi come Italia, Slovenia, Croazia, Austria, Cechia, Slovacchia e Grecia - di ricevere la raccomandazione della Commissione per l’apertura dei negoziati di accettazione, dopo aver ottenuto lo status di Paese candidato alla fine dell’anno scorso. Commissione, ha detto ieri la sua presidentessa, Ursula von der Leyen, che ha sì deciso di chiedere «al Consiglio l'apertura dei negoziati di adesione» con la Bosnia-Erzegovina, ma solo «una volta che il necessario grado di conformità con i criteri fissati sarà raggiunto», ha precisato.
Insomma, niente assegni in bianco per il Paese balcanico, con Bruxelles che ha di fatto accolto le perplessità e le critiche di diplomazie Ue molto più rigide e severe. Invece, ha spiegato von der Leyen, Sarajevo deve prima applicarsi a soddisfare le «14 priorità» stabilite dalla Ue su stato di diritto, funzionamento dello Stato, riforma della giustizia, lotta alla corruzione e criminalità organizzata, prima che il Consiglio europeo dia la definitiva luce verde. E poi ci sono i problemi, sempre più seri, di tenuta dello Stato, con la «Republika Srpska che ha approvato leggi incostituzionali», ha ammonito la presidentessa della Commissione.
Ma la Bosnia, oggi, appare questione assai meno esplosiva dei rapporti tra Serbia e Kosovo. Lo si percepisce anche sfogliando i dossier dedicati alla Serbia, Paese candidato e con negoziati aperti addirittura da dieci anni, mentre il Kosovo rimane l’unica nazione della regione ancora solo potenzialmente candidata all’adesione. Kosovo che, da parte sua, «deve dimostrare un impegno più serio» nei negoziati con la Serbia e «investire maggiori sforzi e scendere a compromessi per portare avanti il processo di normalizzazione delle relazioni» con Belgrado, ha avvisato così la Commissione, con von der Leyen che ha apertamente ribadito la necessità da parte di Pristina di «attuare» l’Associazione dei comuni a maggioranza serba in Kosovo, forse la chiave di volta per una vera de-escalation. Parole severe anche per Belgrado, che deve fare di più - inclusi «compromessi» - per arrivare a una vera pacificazione.
In ogni caso, «la normalizzazione delle relazioni è condizione essenziale sul percorso d’integrazione di entrambe le parti ed entrambe rischiano di perdere opportunità importanti in assenza di progressi». Ammonimento, quest’ultimo, che è anche un riferimento al cosiddetto «piano per i Balcani occidentali», da sei miliardi e approvato ieri dalla Commissione, che mira ad accelerare l’integrazione della regione, a suon di denari, «anche prima dell’adesione» vera e propria, ha ribadito ieri il Commissario Ue all’Allargamento, Oliber Varhelyi. Sottolineando che «l'integrazione delle nostre economie e delle nostre società» dovrebbe e potrebbe avvenire prima dell’innalzamento della bandiera blu a dodici stelle, da Sarajevo a Skopje, passando per Belgrado, Pristina, Podgorica e Tirana.