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Gaza e quella parola impronunciabile: genocidio

Per cogliere l’essenza di quello che si sta perpetrando a Gaza valgono le denunce, gli accorati appelli, di decine di organizzazioni umanitarie, agenzie Onu

L'articolo Gaza e quella parola impronunciabile: genocidio proviene da Globalist.it.

Un giornalista, per il mestiere che fa, dovrebbe sapere il peso delle parole. Maneggiarle con cura, perché le parole possono far male più delle pietre. Dovrebbe raccontare la realtà e non una narrazione di parte, spesso veicolata da ragioni di “reclutamento” su cui è meglio, almeno per il momento, stendere un velo pietoso. Il peso delle parole, si diceva. Prima di dire la mia, di parola, che sintetizza quanto sta accadendo a Gaza, vorrei usare quelle di uno dei più grandi intellettuali palestinesi, purtroppo scomparso: Edward Said. Ebbe a dire che l’essenza della tragedia dei palestinesi è “essere vittime delle vittime”.

Così è. Lo è, Globalist lo ha documentato con articoli che riportano le riflessioni preoccupati di alcuni tra i più autorevoli analisti israeliani, per come il riferimento alla Shoah viene oggi utilizzato per creare un sentimento di vicinanza tra la reazione d’Israele all’attacco terroristico del 7 Ottobre da parte di Hamas, e ciò di cui gli ebrei sono stati vittime nei campi nazisti. C’è chi, in Italia, ha addirittura fatto un parallelismo tra Gaza e Berlino nei giorni ultimi del Reich nazista. L’obiettivo finale, la sconfitta dei nazisti, valeva il radere al suolo Berlino. Come Dresda. E poi si sa tutti i tedeschi erano stati nazisti, più o meno attivi. Lo stesso, anche se non si ha il coraggio di affermarlo fino in fondo, è il retropensiero, non tanto retro, di tanti, tutti, gli ultras pro-Israele di casa nostra. Si vabbè, non tutti a Gaza sono terroristi combattenti di Hamas, ma tutti o quasi ne sono complici, più o meno attivi. Altrimenti si sarebbero ribellati da tempo. 

E qui veniamo alla parola che so pesante. Quella parola è GENOCIDIO. So che questa parola scatenerà l’ira dei pro-Israele, quelli che ritengono che il popolo ebraico, identificato in toto con lo Stato d’Israele, è l’unico che può maneggiare la parola GENOCIDIO.

Non è così. 

Per cogliere l’essenza di quello che si sta perpetrando a Gaza valgono le denunce, gli accorati appelli, di decine di organizzazioni umanitarie, agenzie Onu… Sono centinaia, ne riproponiamo alcuni.

Unicef. “Siamo sconvolti dalle notizie di due scuole che sono state attaccate nelle ultime 24 ore nella Striscia di Gaza. Secondo le notizie, almeno 35 persone, compresi bambini, sono morte.

I bambini che cercano sicurezza nelle scuole e in altri luoghi devono ricevere la protezione di cui hanno urgente bisogno”.

Medici senza Frontiere. Un ospedale al collasso che sta “quasi crollando” con feriti ovunque sistemati come si può, e medici che operano senza anestesia. È la denuncia del dottor Abu Abed, vice coordinatore medico di Medici Senza Frontiere (Msf) a Gaza. Le immagini sono quelle dell’ospedale di al-Shifa, lo stesso davanti al quale ieri i missili israeliani hanno centrato almeno un’ambulanza di un convoglio, uccidendo 15 persone. Secondo lo Stato ebraico il convoglio avrebbe trasportato una cellula di Hamas, ricostruzione smentita dal portavoce del ministero della Sanità di Gaza, Ashraf al-Qudra, citato da al Jazeera.

“L’ospedale sta quasi crollando – ha detto Abu Abed – medici, infermieri e personale sanitario sono esausti e lavorano senza sosta da 23 giorni. Non ci sono farmaci, ci sono molte carenze. I chirurghi stanno operando a terra, sul pavimento, stanno operando ovunque. Non ci sono farmaci anestetici, e i chirurghi stanno operando senza anestesia. Non ci sono antidolorifici, non c’è assistenza post-operatoria. Chiediamo adesso un cessate il fuoco e di lasciare che gli aiuti medici entrino a Gaza e che il personale medico entri e supporti gli ospedali”.

La situazione dell’ospedale di al-Shifa è disperata, ha spiegato Abu Abed, come quella della maggior parte degli altri centri sanitari di Gaza. A causa dell’esaurimento delle scorte di carburante e degli attacchi, l’ospedale dell’Amicizia turco-palestinese, supportato da Msf, è ora fuori servizio. Era l’unico ospedale pubblico per i malati di cancro nella Striscia.

Unicef, Unrwa, Unfpa e Oms.A Gaza ci sono 50.000 donne in gravidanza, con più di 180 parti al giorno. Il 15% di loro rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto e di aver bisogno di ulteriori cure mediche.

La vita di 130 bambini prematuri è a rischio senza incubatrici. Sono sati chiusi 14 ospedali e 45 centri di assistenza sanitaria primaria.

Sono già stati segnalati oltre 22.500 casi di infezioni respiratorie acute, oltre a 12.000 casi di diarrea.

Le donne, i bambini e i neonati di Gaza stanno sopportando in modo sproporzionato il peso dell’escalation delle ostilità nei territori palestinesi occupati, sia in termini di vittime, che di ridotto accesso ai servizi sanitari.

Non è il ministero della Sanità di Gaza (Hamas) a denunciarlo. Sono quattro Agenzie delle Nazioni Unite Unicef, Unrwa, Unfpa e Oms.

Questo è il loro Rapporto congiunto: “Al 3 novembre, secondo i dati del Ministero della Sanità, 2326 donne e 3760 bambini sono stati uccisi nella Striscia di Gaza, pari al 67% di tutte le vittime, mentre altre migliaia sono state ferite. Ciò significa che ogni giorno vengono uccisi o feriti 420 bambini, alcuni dei quali di pochi mesi.

I bombardamenti, le strutture sanitarie danneggiate o non funzionanti, i massicci livelli di sfollamento, il collasso delle forniture di acqua ed elettricità e il limitato accesso a cibo e medicinali stanno mettendo in grave crisi i servizi di salute materna, neonatale e infantile. Si stima che a Gaza ci siano 50.000 donne in gravidanza, con più di 180 parti al giorno. Il 15% di loro rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto e di aver bisogno di ulteriori cure mediche.

Queste donne non possono accedere ai servizi ostetrici di emergenza di cui hanno bisogno per partorire in sicurezza e prendersi cura dei loro neonati. Con 14 ospedali e 45 centri di assistenza sanitaria primaria chiusi, alcune donne sono costrette a partorire nei rifugi, nelle loro case, nelle strade in mezzo alle macerie o in strutture sanitarie sovraccariche, dove le condizioni igieniche stanno peggiorando e il rischio di infezioni e complicazioni mediche è in aumento. Anche le strutture sanitarie sono sotto tiro: il 1° novembre è stato bombardato l’ospedale Al Hilo, un ospedale materno cruciale.

Si prevede che le morti materne aumenteranno, data la mancanza di accesso a cure adeguate. Il bilancio psicologico delle ostilità ha anche conseguenze dirette – e talvolta mortali – sulla salute riproduttiva, tra cui un aumento degli aborti indotti dallo stress, dei nati morti e dei parti prematuri.

Prima dell’escalation, la malnutrizione era già elevata tra le donne in gravidanza, con conseguenze sulla sopravvivenza e sullo sviluppo infantile. Con il peggioramento dell’accesso al cibo e all’acqua, le madri faticano a nutrire e a prendersi cura delle loro famiglie, aumentando il rischio di malnutrizione, malattie e morte.

Anche la vita dei neonati è appesa a un filo. Se gli ospedali finiranno il carburante, la vita di circa 130 bambini prematuri che si affidano ai servizi di cura neonatale e intensiva sarà minacciata, poiché le incubatrici e altre attrezzature mediche non funzioneranno più.

Più della metà della popolazione di Gaza ora si rifugia in strutture dell’Unrwa in condizioni terribili, con acqua e cibo inadeguati, che causano fame e malnutrizione, disidratazione e diffusione di malattie trasmesse dall’acqua. Secondo le prime valutazioni dell’Unrwa, 4600 donne in gravidanza sfollate e circa 380 neonati che vivono in queste strutture hanno bisogno di cure mediche. Sono già stati segnalati oltre 22.500 casi di infezioni respiratorie acute, oltre a 12.000 casi di diarrea, che sono particolarmente preoccupanti dati gli alti tassi di malnutrizione.

Nonostante la mancanza di un accesso sicuro e duraturo, le Agenzie delle Nazioni Unite hanno inviato a Gaza medicinali e attrezzature salvavita, tra cui forniture per i neonati e per la salute delle donne. Ma c’è bisogno di molto di più per soddisfare le immense necessità dei civili, tra cui donne in gravidanza, bambini e neonati. Le agenzie umanitarie hanno urgentemente bisogno di un accesso continuo e sicuro per portare a Gaza più medicinali, cibo, acqua e carburante. Dal 7 ottobre non arriva più carburante nella Striscia di Gaza.Le agenzie umanitarie devono ricevere immediatamente il carburante per poter continuare a sostenere ospedali, impianti idrici e panifici.

È necessaria una immediata pausa umanitaria per alleviare le sofferenze ed evitare che una situazione disperata diventi catastrofica.

Tutte le parti in conflitto devono rispettare gli obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario di proteggere i civili e le infrastrutture civili, compresa l’assistenza sanitaria. Tutti i civili, compresi gli ostaggi attualmente detenuti a Gaza, hanno diritto all’assistenza sanitaria. Tutti gli ostaggi devono essere rilasciati senza ritardi o condizioni”.

 Oxfam. “La situazione per circa 500.000 civili palestinesi e per gli oltre 200 ostaggi israeliani e di altri Paesi intrappolati nel nord di Gaza è sempre più preoccupante, dato che sono stretti in un “assedio nell’assedio”.

È l’allarme lanciato da Oxfam di fronte alla morsa imposta dalle forze israeliane su Gaza City e sul nord della Striscia. 

“Siamo sfuggiti alla morte due volte –  raccontava l’altro ieri un operatore di Oxfam – Ci sentiamo come topi in gabbia. Gaza City è chiusa, e abbiamo appreso che le persone in viaggio per trovare un rifugio nel sud sono rimaste uccise durante un attacco aereo. Sembra che stiano per bombardare l’area. A Shifa la situazione è un incubo: le fogne sono state danneggiate e le mosche sono dappertutto. Il rumore dei droni in cielo non ci lascia mai”. 

“Condividiamo quello che abbiamo con altre dieci famiglie. – ha aggiunto Alhasan Swairjo, un altro operatore di Oxfam che si trova con la famiglia nel nord di Gaza – Nei mercati sta finendo tutto e dipendiamo dal cibo in scatola. I panifici non hanno elettricità e senza carburante avranno autonomia solo qualche giorno ancora. Facciamo il pane in casa, ma non sappiamo se nei prossimi giorni avremo abbastanza gas per cucinare. I nostri figli soffrono, non capiscono perché ci siamo trasferiti, perché Israele ci spara. Non riusciamo a spiegargli quanto sta accadendo. Stiamo lottando per sopravvivere”.

“La decisione di Israele di privare i civili di Gaza di beni essenziali per la loro sopravvivenza, come cibo, acqua, carburante e medicine equivale a una punizione collettiva. Israele sta usando la fame come arma di guerra, un crimine secondo il diritto umanitario internazionale, che non viene mitigato dal passaggio di qualche aiuto attraverso Rafah. – sottolinea Paolo Pezzati, portavoce di Oxfam Italia per le crisi umanitarie- L’ordine di evacuazione del 13 ottobre non riduce la necessità di proteggere i civili che non possono o non vogliono andarsene. Le comunicazioni con Gaza in questo momento sono frammentarie e non consentono di accertare esattamente quanto sta accadendo. I civili non dovrebbero mai essere il bersaglio di attacchi e, se scelgono di rimanere nelle loro case, hanno il diritto di farlo in sicurezza.  In questo momento c’è il rischio che il prezzo che pagheranno nel nord di Gaza sia altissimo”.

Oxfam sta sostenendo alcune delle organizzazioni partner che operano ancora nel sud di Gaza, per fornire aiuti alla popolazione, mentre portare aiuti nel nord della Striscia al momento è praticamente impossibile.

Gli oltre due milioni di persone ora ammassate nel sud di Gaza affrontano una situazione di insicurezza, caos e incertezza, con acqua, cibo, medicine e carburante insufficienti.

Dal varco di Rafah al confine egiziano gli aiuti passano col contagocce, arrivati ieri a 102 camion dopo molte trattative diplomatiche, una quantità ancora del tutto insufficiente a coprire i bisogni di una popolazione che necessita di tutto. Le scorte di farina a Gaza sono ormai così scarse che potrebbero esaurirsi entro una settimana.

 Oxfam ha condannato Hamas per l’attacco del 7 ottobre e per l’uccisione di 1.400 israeliani, per lo più civili, e per la cattura di oltre 200 ostaggi – tutte violazioni del diritto umanitario internazionale. Tutti gli ostaggi detenuti da Hamas e dai gruppi armati dovrebbero essere rilasciati immediatamente e senza condizioni.

Oxfam condanna Israele per l’ordine di evacuazione dal nord di Gaza – che equivale a un trasferimento forzato – per gli attacchi aerei e la guerra di terra che hanno provocato più di 9.000 vittime palestinesi e innumerevoli feriti, di cui 6.086 donne e bambini al 2 novembre.

 “L’escalation militare tra Israele e Hamas e il conseguente assedio hanno causato una catastrofe umanitaria a Gaza. – conclude Pezzati – Per questo rilanciamo un appello urgente per un immediato cessate il fuoco e per l’ingresso degli aiuti umanitari. Allo stesso tempo chiediamo la fine della prolungata occupazione israeliana nei Territori palestinesi e del blocco di Gaza”.

Potremmo continuare a lungo. Ma basta e avanza per sostanziare quella terribile parola. Terribile ma veritiera. GENICIDIO. A Gaza. 

Ps. A proposito di riferimenti storici…

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha sospeso a tempo indeterminato il ministro per la tradizione ebraica Amihai Eliyahu. Stamattina, Eliyahu ha avanzato l’idea di «nuclearizzare» Gaza, parole che poi ha definito una «metafora», ma che non hanno convinto il premier israeliano.

In un’intervista il ministro ha detto che una atomica su Gaza «sarebbe una delle possibilità», anche se ne andasse della vita dei 240 ostaggi israeliani perché «le guerre hanno un loro prezzo». «Le parole di Eliahu sono oltraggiose e fuori dalla realtà – ha replicato Netanyahu. – Le nostre forze operano sulla base del diritto internazionale, per non colpire innocenti».

Quando stamane è scoppiata la polemica, spiega il Times of Israel, Eliyahu ha tentato di rimangiarsi la sua affermazione, ampiamente criticata, secondo cui sganciare una bomba atomica su Gaza sarebbe una delle opzioni di Israele, twittando che «è chiaro a chiunque abbia un cervello pensa che l’osservazione sull’atomo era metaforica».

Alla faccia della metafora! Ma la cosa più grave che a pensarla così, un’atomica e via, non sono in pochi oggi in Israele.

L'articolo Gaza e quella parola impronunciabile: genocidio proviene da Globalist.it.

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