UDINE. Il primo decreto di archiviazione non era bastato ai soci di un’azienda friulana per rinunciare al sospetto di essere stati raggirati dall’istituto di credito cui, nel 2011, si erano rivolti per un mutuo ipotecario.
Chiamato a esaminare nuovamente gli atti di indagine, dopo che il giudice del reclamo aveva condiviso la tesi dei querelanti per cui dovessero essere accertate «eventuali prassi interne alla banca che prevedessero la mancata inclusione di costi nella procedura di controllo dei tassi usurari», il gip del tribunale di Udine, Matteo Carlisi, ha ribadito il proprio convincimento e disposto nuovamente l’archiviazione.
Scagionando così i due dipendenti della Banca di Cividale spa - l’allora titolare della filiale di San Daniele del Friuli e un addetto all’inserimento dei dati e al controllo - dall’accusa di usura ipotizzata a loro carico.
In linea con le conclusioni del pm di Udine, Barbara Loffredo, all’esito della prima disanima del caso, il gip aveva effettivamente confermato il superamento del tasso soglia, così come accertato poi da una consulenza tecnica, ma aveva altresì evidenziato il difetto dell’elemento soggettivo del reato. E cioè di una volontarietà dell’azione, visto che già in sede civile Civibank aveva individuato la causa in «un errore nella procedura interna di controllo» e rinunciato agli interessi relativi al mutuo, decurtandoli dal credito restitutorio.
Era stato lo stesso impiegato addetto alla compilazione e al controllo a riconoscerlo, spiegando di non avere inserito la commissione Confidi e giustificandosi della «poca esperienza maturata nel settore», essendo stato «assunto da poco» e «non avendo ricevuto un’adeguata formazione dal responsabile di filiale». Da qui, aveva concluso il gip, al più, l’addebito alla banca di una «condotta colposa e negligente», di cui le parti avrebbero comunque potuto continuare a dibattere solo sul piano civilistico.
Il reclamo, seguito all’infruttuosa opposizione, aveva quindi spostato il mirino sulla condotta della Civibank. Secondo l’avvocato Fabio Giorgi, legale dei titolari dell’azienda, il caso necessitava di un approfondimento volto a privilegiare l’ipotesi di «prassi interne» che avrebbero confermato l’esistenza di un «disegno organizzato» di cui sarebbero stati partecipi anche gli indagati.
Pista che il gip ha scartato con il secondo provvedimento, archiviando entrambi gli indagati, difesi rispettivamente dall’avvocato Luca Ponti e dalla collega Francesca Lanzutti. «Il fatto che la banca solo dopo la denuncia abbia ammesso l’usurarietà dei tassi cercando un accomodamento con i clienti – scrive nell’ordinanza – non depone a riscontro della mala fede. Tutt’altro: se la banca avesse avuto consapevolezza di essere nel torto, avrebbe cercato di chiudere la vicenda ben prima che finisse davanti al pm, per evitare che, scoppiato il bubbone, emergesse l’esistenza di altre vicende analoghe».
Proprio come aveva osservato l’avvocato Ponti, parlando di un’iniziativa (quella dei denuncianti) volta ad aprire «un’ipotetica o auspicata inchiesta nei confronti della banca», invece che degli indagati. «Una specie di chimerica “class action”» o «la ricerca di una speranza di “una responsabilità di sistema” servendosi di questo procedimento», insomma, secondo il legale, che tuttavia non ha trovato margini di maturazione.
Anche perché, posto che nessun altro correntista risulta avere presentato denunce simili, è lo stesso gip a osservare come, trattandosi di contratti stipulati nel biennio 2009-2011, «sarebbe oltremodo difficile capire chi e come avesse determinato le clausole e se fossero stati applicati i sistemi di controllo in modo corretto».