L’hanno ritratta con la kefiah e l’hanno portata in corteo per le strade di Milano come un trofeo. Anna Fank, simbolo universale dell’orrore nazista ridotta a propaganda palestinese aveva scritto sul suo Diario che è monumento e ammonimento dell’umanità: «Ciò che un cristiano fa è sua propria responsabilità, ma ciò che fa un singolo ebreo viene fatto ricadere sulle spalle di tutti gli ebrei». Così i cori pro Palestina scanditi il 21 ottobre scorso a Milano diventano «Israele terrorista, Netanyahu assassino» e si trasformano, in un crescendo d’odio, in una nuova ondata di antisemitismo violento quando in arabo parte lo slogan: «Apriteci i confini, così possiamo uccidere i sionisti, gli ebrei».
Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano, è in possesso dei nastri di quel corteo diffusi attraverso TikTok (@jewishnewsuk) e ha chiesto che si identifichino coloro che intonavano gli inni antisemiti. Dice Vittorio Robiati Bendaud, segretario del tribunale rabbinico del Centro-nord ed erede intellettuale dello storico rabbino del dialogo Giuseppe Laras: «Gli ebrei italiani sono sgomenti e increduli, Hamas ha varcato un confine che pur nell’orrore si pensava invalicabile, hanno messo in atto un tentativo di pulizia etnica. Sono tempi in cui dobbiamo tornare a guardarci le spalle». Un sentimento che pervade le comunità ebraiche italiane e percorre come un brivido di terrore tutta Europa.
Nei giorni seguiti alle stragi di Hamas con l’Islam che sfila nel cuore dell’Europa inneggiando alla Palestina, ma con un retrogusto inquietante di antisemitismo, gli ebrei italiani stanno ricevendo un decalogo stilato dall’Ucei - l’Unione delle comunità ebraiche - che li invita a essere particolarmente prudenti. Si raccomanda tra l’altro: «Mantenere alto il livello di attenzione, soprattutto intorno ai nostri luoghi; [...] cercare di essere sempre in compagnia quando si esce dai nostri luoghi, ma evitare gli assembramenti; se si hanno figli adolescenti che escono fuori casa chiedere loro di cambiare luoghi d’incontro, se sono di routine; tenere porte d’ingresso chiuse a chiave e aprire solo dopo aver accertato l’identità di chi volesse entrare [...]; se si prenota cibo da asporto scendere a ritirarlo evitando di far arrivare i corrieri al proprio appartamento; evitare di andare in giro con segni identificativi (magliette con scritte in ebraico) e possibilmente coprire con un cappello la kippah; prestare molta attenzione all’utilizzo dei social da parte dei bambini, potrebbero vedere immagini scioccanti senza cercarle».
Sembrano raccomandazioni copiate dalle cautele che vennero promulgate nel 1938 dopo le leggi razziali e danno il senso che le comunità ebraiche in Italia, come nel resto d’Europa, stanno vivendo in un nuovo ghetto: quello della paura. Cinque anni fa Abu Mazen - oggi presidente di facciata dei palestinesi, «ostaggio» dei terroristi di Hamas - rispolverò l’antico armamentario nazista sostenendo che «la persecuzione degli ebrei è motivata dal fatto che sono sempre stati usurai». In Belgio, uno dei Paesi dove il radicalismo islamico ha maggior presa, l’anno successivo il Carnevale di Aalst è stato rimosso dalla lista del patrimonio dell’Unesco perché hanno sfilato carri allegorici con mascheroni caricaturali degli ebrei ortodossi circondati da sacchi di monete. Ha scritto Shalom, sito di cultura ebraica, «sembrano le pagine del Der Sturmer, il settimanale antisemita che era pubblicato nella Germania nazista».
Che l’antisemitismo sia dilagante se n’è accorta anche l’Unione europea, la stessa che destina miliardi all’Organizzazione della Palestina, la stessa che paga gli stipendi a oltre cento degli insegnati dell’Unrwa - organizzazione dell’Onu per la Palestina - che secondo un rapporto di UN Watch, incitano nelle scuole alla violenza e all’odio contro gli israeliani e gli eredi di Davide in generale. Il 5 ottobre di due anni fa l’Unione europea ha pubblicato un dossier ammettendo: «La persistenza e l’aumento dell’antisemitismo richiedono una risposta più vigorosa». Dal dossier si evince che un europeo su due avverte il pericolo antisemita, il 90 per cento degli ebrei europei ritiene che nel proprio Paese l’antisemitismo sia aumentato e per l’85 per cento è un problema grave, il 71 per cento evita di farsi identificare come ebreo e il 44 per cento dei ragazzi di queste comunità ha subito minacce. Dati, questi, rapidamente invecchiati nelle ultime settimane. L’Europa è davanti allo specchio delle sue contraddizioni: aperta all’accoglienza assiste muta alla diaspora degli ebrei. dopo l’orrore nazista erano rimasti in tre milioni, oggi sono meno di 1,5 milioni.
Dalla Francia che contava la comunità più numerosa - 600 mila persone fino al 2010 - se ne sono andati in 300 mila. Ora sono in Israele. Il rabbino capo Haïm Korsia da anni dà l’allarme. La convivenza con l’islam radicale che ha conquistato le banlieue parigine, è impossibile. Il 45 per cento degli ebrei d’Oltralpe nasconde la propria fede, un francese su quattro si dichiara antisemita (sondaggio Fondapol) e quasi un musulmano su due dichiara di odiare gli ebrei. Il risultato come ha detto Korsia è che: «Non c’è quasi più nessun ebreo nelle scuole pubbliche di Seine-Saint-Denis». L’ex deputato franco-algerino all’Assemblee nationale Malek Boutih, presidente dell’Ong Sos racisme, ha affermato: «L’antisemitismo è una delle modalità dell’islamismo diffuso nella società». In Francia in un mese ci sono stati 327 atti contro appartenenti alla comunità.
In Germania non va meglio. Approfittando delle manifestazioni pro Palestina a Berlino (il 18 ottobre due molotov sono state lanciate contro la sinagoga di Kahal Adass Jisroel), Amburgo, Hannover, Düsseldorf e Bonn ci sono stati atti ostili: luoghi di culto presi di mira, quartieri ebraici imbrattati di scritte e spazzatura, stelle di David e triangoli gialli attaccati ai portoni. Il partito di destra AfD vuole chiudere tutti i negozi kasher. Il cancelliere Olaf Scholz è stato costretto a dichiarare: «Tolleranza zero per l’antisemitismo», preoccupato per la saldatura tra integralisti islamici - anche entrati con i profughi siriani - e le frange neonaziste. E mentre a Londra la situazione sembra essere fuori controllo - nel mese di ottobre gli atti ostili agli ebrei sono aumentati del 1.350 per cento! - anche in Italia si assiste a un sensibile peggioramento. La comunità è ridotta a 30 mila persone. Migliaia di giovani sono tra Tel Aviv e Gerusalemme. L’Ucei presieduta da Noemi Di Segni afferma: «In poche ore Israele si è trovata sotto totale attacco, violata nei propri confini e libertà, travolta da una barbarie smisurata da Hamas, un’organizzazione terroristica che progetta ed esegue la distruzione totale di Israele e di tutte le Comunità ebraiche nel mondo. Ribadiamo con forza il diritto dello Stato di Israele di difendere il proprio territorio e la legittimazione ad attivarsi per sradicare questa minaccia».
Eppure tra gli ebrei c’è chi come Moni Ovadia, ma non è il solo, afferma: «Il popolo palestinese vive in prigione e in una condizione infernale: questo scatena la rabbia del mondo arabo. E l’Occidente mostra il suo doppiopesismo, sempre pronto a imputare la ferocia ai palestinesi, ma non batte ciglio sulla condizione di segregazione dei palestinesi». Per queste accuse si è dovuto dimettere da direttore del Teatro comunale di Ferrara, ma andandosene ha avuto altri accenti polemici: «Constato che l’Italia è un regime, non è una democrazia neanche da lontano». Una parte della sinistra ebraica è contro Israele. Il giornalista Gad Lerner dice: «Sono 56 anni che occupa territori abitati da milioni di palestinesi e si illude di poter custodire una democrazia domestica però negando allo stesso tempo il diritto all’autodeterminazione del vicino di casa». È quello che pensano i socialisti spagnoli - la Spagna fin dai tempi del generale Franco è filopalestinese - che bloccano l’Europa, già di suo balbettante e divisa sul conflitto.
Se la presidente della Commisione Ue, Ursula von der Leyen, e la presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola sono a fianco di Tel Aviv, l’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel lavorano per impedire che Israele risponda agli atti di terrorismo, dando implicitamente ragione agli islamici filopalestinesi. Si è dimenticata in fretta questa Europa di aver scritto solo un anno fa: «L’antisemitismo può portare ad attentati violenti e letali come quelli alla scuola Ozar Hatorah di Tolosa nel 2012, al museo ebraico di Bruxelles nel 2014, all’Hypercasher di Parigi nel 2015 o alla sinagoga di Halle nel 2019». L’Ucei e le sue 21 comunità hanno rivolto «un accorato appello a ogni cittadino e istituzione italiana affinché si unisca alla nostra incondizionata condanna di Hamas che non difende affatto i palestinesi, ma anzi lancia una guerra a tutta Israele. L’Ucei chiede con forza che si sostenga il diritto di Israele a esistere». Come ha affermato Elie Wiesel: «Ciò che fa più male alla vittima non è la crudeltà dell’oppressore, ma il silenzio di chi ne è testimone».
