TRIESTE Ormai è praticamente certo: il motivato pubblico del Teatro Lirico triestino, come del resto già annunciato, sta per andare incontro a un’amara delusione. La prima della “Manon Lescaut”, che inaugura la stagione lirica del Teatro Verdi di Trieste, prevista per la sera del 2 novembre, è destinata a saltare. Un vero colpo al cuore. Sia per i melomani che desideravano assaporare le note di Giacomo Puccini prima di tutti gli altri. Sia per il pubblico della prima, abituato a considerare lo spettacolo d’esordio della stagione come un evento, anche mondano, come da consolidata tradizione. La causa, come ha già spiegato il sovrintendente Giuliano Polo in occasione della presentazione ufficiale della Manon Lescaut, è la mobilitazione nazionale, ufficialmente annunciata dalle segreterie nazionali Slc-Cgil, Fistel-cisl, Uilcom-Uil e Fials-Cisal il 17 ottobre scorso, che prevede che il personale dipendente delle Fondazioni Liriche si metta in sciopero alla prima di ogni produzione.
Una forte azione di protesta per accendere i riflettori sul mancato rinnovo del contratto nazionale di lavoro: l’ultimo aggiornamento del contratto collettivo del lavoro per questo settore è avvenuto vent’anni fa. Un po’ troppo, secondo gli orchestrali, i coristi e tutte le maestranze. In tutta Italia le prime hanno iniziato ad andare gambe all’aria. Hanno incominciato i lavoratori del Regio di Torino, che hanno fatto saltare “La Bohème” del 21 ottobre.
Poi è stata la volta del Teatro Massimo di Palermo: il debutto del “Don Giovanni” diretto da Riccardo Muti il 24 ottobre non c’è stato. E ancora, il San Carlo di Napoli: il 25 ottobre il “Maometto II” di Gioachino Rossini non è andato in scena.
E adesso, l’onda di protesta raggiunge anche Trieste. Il 26 ottobre le Segreterie Territoriali dei sindacati hanno reso nota la loro dichiarazione di sciopero al presidente della Regione Massimiliano Fedriga, all’assessore alla cultura Mario Anzil, al Presidente della Fondazione Roberto Dipiazza e al Sovrintendente Giuliano Polo.
Il motivo è sempre lo stesso: dopo vent’anni di mancati rinnovi contrattuali, i lavoratori rivendicano una equa retribuzione e un corretto adeguamento al costo della vita. Premettendo chiaramente che questa azione non riguarda questioni locali ma soltanto nazionali, i sindacalisti sono uniti nell’aderire alla protesta. «L’inflazione – dice David Fischer della segreteria provinciale Slc-Cgil – sta colpendo duramente soprattutto le famiglie di chi percepisce salari più bassi. È intollerabile che i lavoratori del sistema lirico, patrimonio e vanto del Paese, ricevano oggi le stesse retribuzioni che avevano al tempo delle lire».
Mario Leotta, segretario provinciale Fials-Cisal, aggiunge che dopo un ventennio di fermo contrattuale «ci spetterebbe almeno un +30% di adeguamento economico». Gunther Suban di Uilcom-Uil motiva la forte reazione dei lavoratori anche alla luce del fatto che «il sistema Fondazioni Liriche esce da un lungo periodo di commissariamenti e piani di risanamento, che si sono tradotti sostanzialmente in tagli di organico e di retribuzioni».
Ma soprattutto, i sindacalisti sottolineano dispiacere nei confronti degli spettatori, che stanno subendo le conseguenze di questa situazione.
«Ci dispiace – sottolinea Massimo Albanesi della Fistel-Cisl – per il nostro pubblico, nostra linfa vitale, senza il quale non avrebbe senso essere sul palcoscenico. Ma siamo certi che, grazie alla vostra sensibilità, saprete capire ed essere solidali con la nostra causa. Il teatro è patrimonio di tutti e non possiamo sottostare alle decisioni di chi considera la Cultura un mero accessorio ludico, costretto esclusivamente a regole di bilancio economico».
