TRIESTE. “Una regione speciale nel centro d’Europa” è il titolo di un poderoso convegno che si svolgerà il 18 e 19 ottobre a Trieste, nella sala dell’Ince (Iniziativa centro-europea), e il 20 a Gorizia nell’aula magna del Sid (Scienze internazionali e diplomatiche).
La collocazione della nostra regione, un cuneo che si insinua nel centro del continente, collegandolo, attraverso il Mediterraneo, con il resto del mondo, ne ha fatto una sorta di “laboratorio della contemporaneità” dove si sono sperimentate esperienze storiche eccezionali: conflittuali ma anche di crescita politica e sociale.
Saranno approfonditi gli eventi che, dalla seconda metà degli anni ’50, dopo “non allineamento” jugoslavo e la conclusione di fatto della “questione di Trieste”, hanno reso le aree del confine orientale d’Italia un laboratorio di ricomposizione e pacificazione, nonostante il fatto che c’era la guerra fredda e che continente era diviso in due blocchi.
Il Convegno, organizzato dall’Istituto di storia della resistenza del Friuli Venezia Giulia (Irsrec), insieme all’Ince e all’Università di Trieste esplorerà gli inizi di quella nuova stagione, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, come tappa fondamentale all’interno di un più ampio percorso di studi che proseguirà negli anni a venire, con uno sguardo attento sui Balcani, come suggerisce il Forum intergovernativo tenutosi a Trieste venerdì scorso.
Sono tre i temi principali: difesa dei confini; autonomia e specialità; minoranze etniche. Ne parliamo con il professor Patrick Karlsen, docente di Storia contemporanea all’ateneo triestino e direttore scientifico dell’Irsrec.
Karlsen, cominciamo dalla difesa dei confini. Quale era la situazione all’epoca, in piena guerra fredda e dopo lo strappo Tito-Stalin?
«Alla fine della seconda guerra mondiale la frontiera orientale italiana divenne presto la frontiera del blocco occidentale, con grande valenza strategica e militare. La rottura cambia significativamente la situazione, sposta di qualche centinaio di chilometri la frontiera tra Est e Ovest. Questo allontanamento va bene all’Italia che sente meno il fiato sul collo e alla Jugoslavia che non confina più con un’Italia nemica. Si apre uno scenario di distensione sull’Adriatico che porterà i due Paesi a un percorso di riconciliazione che maturerà a Osimo. La visione della frontiera orientale cambia e da antemurale anticomunista diventa “il confine più aperto d’Europa”».
Passiamo all’autonomia e alla specialità regionale.
«I movimenti autonomisti sono figli del rapporto di Trieste come “città immediata” all’Impero che si era conquistata nel 1848 ribadendo la fedeltà a Vienna, e che le assicurava una larga autonomia amministrativa. L’autonomismo ispirerà anche il movimento operaio e alimenterà le istanze indipendentiste diffuse negli anni del Gma. Ben diverso sarà l’autonomismo della Lista per Trieste, che punta a rinegoziare il rapporto con Roma senza metterlo in discussione. Per quanto riguarda il Friuli, il suo autonomismo vuole distinguersi prima dal Veneto, poi da Trieste».
Ma come si arriva alla specialità regionale?
«Quando, il 27 giugno 1947, l'Assemblea Costituente prende in esame il problema delle Regioni a Statuto speciale, Fausto Pecorari, triestino, vicepresidente dell'Assemblea, propone che fosse aggiunta una quinta, cioè la "Regione giulio-friulana e Zara". All’emendamento Pecorari Tiziano Tessitori, parlamentare udinese, propone una nuova denominazione che comprenda il Friuli e la Venezia Giulia. Pecorari ritira il suo emendamento e passa quello di Tessitori. Però la Regione sarà istituita appena nel ’63».
Ma i comunisti erano contrari alla specialità.
«Inizialmente sì, però il Pci diventa favorevole ad essa con un suo statuto alternativo che lega indissolubilmente la questione della specialità alla questione della minoranza slovena e alla realizzazione della Zfic, zona economica speciale poi prevista nel trattato di Osimo, per fronteggiare la crisi economica locale e che di lì a poco porterà alla chiusura dei cantieri con il Piano Cipe».
E per quanto riguarda la minoranza slovena?
«La questione è complessa: come detto per i comunisti la specialità è legata alla tutela della minoranza, tutela di cui rivendicano il monopolio. La Dc triestina afferma che essi sono tutelati dal memorandum di Londra del ’54, mentre quella udinese non voleva che la specialità fosse legata alla difesa delle minoranze affinché non si aprisse la questione dell’appartenenza nazionale delle valli del Natisone. La destra è contraria su tutta la linea».