C’è del beffardo nell’immagine di un postino che bussa alla porta del quartier generale di Amazon, a Seattle, e consegna un plico inatteso: la notifica dell’avvio dell’indagine della Federal Trade Commission americana (Ftc) per violazione delle norme sulla concorrenza a carico del gigante dell’e-commerce. Condensato in 172 pagine, l’informativa è un atto d’accusa formidabile contro la multinazionale che, più di ogni altra infrastruttura economica e commerciale moderna, ha plasmato e stravolto le abitudini di acquisto del pianeta. E con esse l’assetto stesso del mercato.
Uno scontro tra titani alla cui ombra esplodono e si combattono però tante altre battaglie che, come focolai notturni, divampano un po’ ovunque: dagli Stati Uniti all’Europa fino ai Paesi dell’ex Cortina di ferro comunista. Sono le guerre di resistenza dei piccoli commercianti e dei venditori al dettaglio che non vogliono arrendersi al potere «amazzonico» e si organizzano come possono, dove possono. Creando piattaforme online di quartiere per promuovere le merci di prossimità oppure consorziandosi per abbattere i costi di spedizione. Tutto pur di sfuggire alla forza centripeta della creatura di Jeff Bezos. Il terzo uomo più ricco del mondo (patrimonio personale di 148 miliardi di dollari) e il primo nella storia, nel 2020, a superare la soglia dei 200 miliardi.
«Per beneficiare veramente dell’accelerazione e della spinta che i mercati digitali possono offrire serve una massa critica di acquirenti e o venditori. Le tattiche di Amazon si sono concentrate nel privare i rivali della possibilità di ottenere una simile massa critica di consumatori» ha spiegato Lina Khan, la presidente della Ftc, in un’intervista al circuito di notizie Cnbc. L’obiettivo, ha aggiunto il membro dell’Antitrust, è «ripristinare una piena concorrenza».
In particolare, l’inchiesta della Ftc (rafforzata dalle denunce di 17 Stati federali che le si sono accodati) si concentra sull’obbligo, per le imprese che vogliono vendere sul portale, di utilizzare i servizi di trasporto e di logistica di Amazon e di non praticare prezzi più bassi di quelli offerti sullo «store». Accuse non inedite, per giunta, e già costate, qualche tempo fa, alla costola europea di Amazon una multa da 1,2 miliardi di euro per «posizione dominante». La sanzione, bisogna dirlo, ha tutt’altro che scosso le finanze del gigante fondato nel 1995 nel garage di Bezos, secondo la più classica iconografia delle storie di successo americane, ma rappresenta pur sempre un precedente pericoloso.
Oggi, Amazon vale 1.200 miliardi di dollari (il doppio del Pil dell’Argentina), con un «brand value» - il valore del marchio - da 350 miliardi, secondo solo ad Apple e davanti a Google e Microsoft. Il sito riceve 2,2 miliardi di visite al mese mentre sono 300 milioni gli utenti attivi (dati 2022). Altre 40 imprese collegate alla capofila formano una vera e propria galassia hi-tech che propone servizi a pagamento di tutti i tipi: clouding, food, stampa, podcast, streaming e tanto altro. I soli abbonamenti «Prime» generano 25,21 miliardi di dollari all’anno mentre i ricavi pubblicitari sono giusto un po’ più alti: 31 miliardi.
Amazon possiede inoltre il 90 per cento delle quote di mercato in ben cinque categorie di prodotti: batterie, cucine, fai da te, golf e skin care. Per far funzionare la macchina servono 1,3 milioni di dipendenti disseminati in tutto il mondo. O quasi: i pacchi arrivano sì in oltre 100 Paesi, esclusi Cuba, Iran, Corea del Nord, Sudan e Siria, ma i corrieri della multinazionale non trovano sempre porte e braccia aperte. Ci sono nazioni dove Amazon non riesce proprio a sfondare, un po’ perché non è in grado di comprenderne le dinamiche di mercato, un po’ perché esiste una sorta di sovranismo finanche nel commercio elettronico.
In Polonia, per esempio, dove la piattaforma «Allegro» conta 21 milioni di utenti su 38 milioni di cittadini. Oppure in Romania, dove «eMag» detiene il 20 per cento del mercato interno con forti proiezioni pure in Ungheria e Bulgaria. Ancora: in Svezia l’assalto di Amazzon si è rivelato un fiasco totale, con sfumature addirittura comiche. Traducendo dall’inglese allo svedese i nomi delle merci e dei servizi in vendita, i clienti sbigottiti si sono ritrovati a mettere nel carrello uno «stupro» e insulti di ogni tipo. E questo senza considerare che qualche manager di Seattle, scarso in geografia, ha confuso la bandiera svedese per quella argentina. Poi ci sono gli store dei micro commercianti, organizzati e agguerriti, con cui confrontarsi. In tutto il Nord-Est dell’Europa, come accade nella storia di Davide contro Golia, i piccoli riescono sempre più spesso a tenere testa al mastodontico rivale. Esperienze simili si stanno ripetendo con maggiore frequenza. In Francia, negli ultimi mesi, sono nate piazze virtuali dove i negozianti di zona si rivolgono direttamente ai clienti della provincia offrendo loro prodotti a prezzi più competitivi di Amazon.
Negli Stati Uniti, invece, questo sistema si è intrecciato con il movimento anti-woke dando vita a una serie di iniziative imprenditoriali, ad opera di associazioni «pro life»» e «pro libertà», che mettono in rete clienti e rivenditori che non vogliono cedere alle condizioni di Bezos. Come il sito «public square», fondato nel luglio 2022, che conta oltre 65 mila aziende.
Pure le compagnie software si sono accorte di questa insofferenza al dominio di Seattle e hanno iniziato a proporre, molto spesso gratis o comunque a costi assai modesti, tool e pacchetti per costruire da soli e in pochi minuti il proprio shop online come Shopify, Sellfy ed Ecwid.
Bezos, intanto, tra un volo spaziale e l’altro con la sua Blue Origin, sta lavorando a una nuova tecnologia che potrebbe rivoluzionare ancora una volta i modelli di consumo mondiali: l’applicazione dell’intelligenza artificiale (in cui ha investito 4 miliardi di dollari con la start up Anthropic) agli schemi di vendita del suo supermarket online. Una miscela esplosiva che di fatto rischierebbe di annullare la volontà di acquisto individuale per subordinarla alle direttive e alle linee guida dell’algoritmo. E non è forse un caso che, dopo l’annuncio, gli analisti finanziari abbiano iniziato a scommettere sul recupero delle azioni della multinazionale che, pur avendo incrementato il proprio valore negli ultimi sei mesi di circa il 28 per cento, aveva accusato un po’ di stanchezza negli ultimi tempi.
Parliamo delle vere azioni Amazon, però, non di quelle posticce che una banda di truffatori rifilava a centinaia di ignari investitori italiani grazie a una articolata truffa smantellata dalla Procura di Pordenone. Risultato: 14 misure di custodia cautelare e 61 indagati. Grazie a falsi contratti di trading online sui titoli della big tech di Bezos, sono statiirastrellato 2 milioni di euro in pochi mesi, ma gli inquirenti sospettano che il bottino sia almeno 15 volte più ricco.
Il meccanismo era semplice: un call center contattava il «pollo» da spennare e, dopo averne carpito la buona fede, lo invitava a scommettere 250 euro sulle azioni Amazon. Che, come per magia, nel giro di una settimana triplicavano di valore (ovviamente tutto era gestito su una piattaforma manipolata allo scopo) ingolosendo lo sprovveduto investitore. Il passaggio successivo era scontato: la vittima investiva somme via via più grandi per riuscire a guadagnare di più. Alla fine, si ritrovava con il conto corrente prosciugato e una montagna di false azioni Amazon e di bitcoin, l’altro collocamento ad alta redditività proposto.
L’indagine - che ha anche scoperto come i truffati spesso intrecciassero rapporti d’amicizia con i malfattori perché soffrivano di solitudine o per problemi amorosi «derivanti», scrivono gli inquirenti, «dalle misure pandemiche» - ha comportato l’analisi di 42 mila intercettazioni telefoniche e milioni di contatti email. In alcuni casi chi ha aderito all’investimento, poco avvezzo alla tecnologia e per non perdere tempo, ha consegnato addirittura password e credenziali dei propri accessi bancari al call center che così si è trovato a operare all’interno dei conti correnti in tutta comodità.
C’è da credere che questi malcapitati non vogliano sentir parlare per un po’ di Amazon, visto il pacco che gli è stato rifilato. n
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