Il moderno invecchia e il vecchio torna di moda» recitava un celebre aforisma del giornalista e scrittore Leo Longanesi. Parole pronunciate negli anni Cinquanta, ma attualissime per «leggere» il trionfo del potere della nostalgia che attraversa da qualche mese ogni segmento della musica pop rock. Un viaggio a ritroso nel suono degli 80’s i cui protagonisti sono i millennials, mai come ora ascoltatori seriali di canzoni scritte 40 anni fa: prodotte, pensate e arrangiate con un gusto distante anni luce dalle hit attuali che imperversano nelle piattaforme streaming, canzoni perlopiù «instant», dal respiro corto, senza la stoffa per diventare classici da riscoprire tra 10, 20 o 30 anni.
Un dettaglio rilevante, considerando che il music business nel suo complesso è in buona parte tenuto in piedi dal catalogo, che a sua volta vive dei grandi ritorni di fiamma che rivitalizzano le royalties e i diritti d’autore. Detto questo, il filo rosso che collega il suono del decennio dei capelli cotonati alla Generazione Z è la notizia che Victoria dei Måneskin, 23 anni, suonerà il basso in un brano (Psycho Killer, cover dei Talking Heads) del nuovo album dei Duran Duran, la band che negli Ottanta ha imposto al pubblico mainstream nuovi standard sonori e d’immagine, in totale contrapposizione con l’epopea hippie dei 70’s. Due mondi, quelli di Zitti e buoni e di Wild Boys, lontani quattro decenni, che si incontrano e si confrontano e sono soltanto l’ultimo atto di un fenomeno su larga scala. Come spesso accade, la febbre vintage si accende attraverso le colonne sonore delle serie tv e dei film. A far ritornare in auge tra i giovanissimi Save a Prayer, dei Duran Duran, ballad del 1982 che parla di un’edonistica notte d’amore tra due sconosciuti, accompagnata da un video che, rivisto con gli occhi di oggi, sembra il clip promozionale di un tour operator dello Sri Lanka, è stato Bones and All: il film di Luca Guadagnino, un horror a tinte romantiche costruito intorno alla relazione tra due giovani cannibali, costretti, verso la fine degli anni Ottanta, a un’esistenza nomade lungo gli Stati Uniti.
È il magico potere della sincronizzazione tra musica e immagini, dove due arti si incontrano e si fondono alla perfezione pur provenendo da contesti d’ispirazione lontanissimi tra loro. La differenza è che chi aveva 18 anni nel 1982 assocerà per sempre il refrain di Save a Prayer ai paesaggi dell’Oceano Indiano immortalati nel video ufficiale, mentre i ragazzini di questo tempo alle avventure pulp di Marene e Lee, i protagonisti della pellicola di Guadagnino. La storia di Goo Goo Muck dei Cramps è ancor più significativa: un’oscura canzone punk-rockabilly del 1981, che viaggiava intorno ai duemila clic al giorno in streaming a livello mondiale, diventa in meno di una settimana un inno per tutti quelli nati dopo il Duemila. Trenta, 40 milioni di ascolti in un lasso di tempo brevissimo per un pezzo che non era nemmeno stato scritto dalla band americana, in quanto remake di una canzone del 1962 firmata dagli sconosciuti Ronnie Cook & The Gaylads. A innescare la postuma Cramps-mania, il balletto più famoso di sempre in una serie Netflix, quello a tinte gotiche di Mercoledì Addams impersonata da Jenna Ortega in Wednesday.
Un botto a sorpresa che ha spalancato agli adolescenti le porte di un’era della musica che non conoscevano e delle bizzarre storie di vita dei suoi protagonisti, come quella, da film, di Lux Interior e Poison Ivy, le due menti creative dei Cramps. Basta rimettere in fila i dettagli del loro primo incontro: lui, Lux, vaga senza meta per le strade di Sacramento, lei, forme da pin up e mini shorts, è l’autostoppista più sexy della California. Si erano intravisti al Sacramento State College in un corso dedicato all’arte e allo sciamanesimo. Due occhiate, niente più. Dopo qualche minuto di viaggio si innamorano follemente e da allora resteranno insieme per 40 anni (Lux è morto nel 2009): nella vita, sul palcoscenico e nelle infinite peregrinazioni in auto lungo le autostrade d’America. A sancire il ritorno alle suggestioni 80’s da parte dei millennials non sono però solo le canzoni di un tempo, ma anche la produzione musicale degli artisti contemporanei più popolari: Blinding Light di The Weeknd sembra uscita dalla colonna sonora di un party a Ibiza nel 1985, e molti dei pezzi più cliccati di Dua Lipa guardano a quel periodo, a cominciare dalle canzoni dell’album best seller, Future Nostalgia.
Non solo: veniamo da un’estate dove uno dei tormentoni principali è stato Italodisco dei The Kolors, un brano che ha sbancato in streaming e sui social e che è anche l’omaggio a un genere musicale nato in Italia all’inizio degli Ottanta, l’Italo Disco, per l’appunto, quella dei successi su scala mondiale di Gazebo, Righeira e Mike Francis. È la riscoperta a tutto tondo di un decennio musicalmente rivoluzionario, quella dei ragazzi di oggi. Un trend «back to 80’s» che passa inesorabilmente attraverso i canali di questo tempo, in cui un breve clip su Instagram, che ripropone un vecchio ritornello dei Police o dei Clash o dei Dire Straits, è più potente di qualsiasi campagna promozionale mirata a far riscoprire gli album di questi tre gruppi storici. Lo straordinario impatto del pubblico giovane sulle canzoni di 40 anni fa lo ha provato più di chiunque altro Kate Bush, artista british ispirata e raffinata, da sempre poco esposta mediaticamente, che si è ritrovata al primo posto della classifica inglese dei singoli nel 2022 grazie all’uso di una sua canzone del 1985, Running up That Hill, nella serie Stranger Things.
Oltre un miliardo di clic su scala mondiale e un risultato strabiliante certificato dal Guinness World Record: mai una canzone pubblicata 37 anni prima aveva conquistato il primo posto nella classifica Uk. Per qualche giorno l’analogica Kate è rimasta in silenzio, poi ha reagito alla sua maniera: «Credo che il mondo sia impazzito. Ci sono milioni di giovani e giovanissimi che stanno ascoltando un mio vecchissimo pezzo. Pensavo che l’abbinamento con Stranger Things avrebbe attirato un po’ di attenzione, ma così è sconvolgente».