Se sui furbetti dei bonus ristrutturazione voluti dai Cinque stelle c’è ormai vasta letteratura, una misura voluta da Matteo Renzi ai tempi del suo esecutivo è stata rimodulata a gennaio dal governo Meloni, un attimo prima che le inchieste giudiziarie travolgessero la disposizione. Da tempo, infatti, gli investigatori della Guardia di finanza scavavano sui trucchi per incassare il Bonus 18 app, noto anche come Bonus cultura, la carta elettronica da 500 euro istituita nel 2016 a favore di tutti i neo diciottenni per spese di carattere culturale, come libri o biglietti per musei o eventi musicali. I meccanismi di tutela che dovevano impedire di incassare in modo illecito il bonus si sono dimostrati totalmente inefficaci e facilissimi da aggirare per qualsiasi «smanettone». E i controlli? Nessuno fino al 2019. Per tre anni, insomma, al ministero per i Beni e le attività culturali guidato dal dem Dario Franceschini, se ne sono occupati.
Quando il pentastellato Alberto Bonisoli gli succede, le richieste d’accesso agli elenchi dei beneficiari riempiono già un faldone che un funzionario, si narra, gli porta in visione quasi tutti i giorni. Prima di dicembre gli accertamenti sono già oltre 700. E siccome Franceschini non ha previsto meccanismi per arginare l’emorragia di fondi che ogni giorno vengono sotratti con semplici truffe, Bonisoli tenta di salvare la faccia, mettendo a disposizione del Nucleo speciale della Finanza le informazioni in possesso del Mibac sui beneficiari delle misure di sostegno.
A luglio 2019, con tanto di foto di rito e comunicato stampa, il ministro e l’allora comandante generale della Guardia di finanza Giuseppe Zafarana firmano così un protocollo d’intesa. L’accordo, però, agevola le indagini sulle truffe, non apportando alcuna modifica per impedire gli illeciti. E se a dicembre 2019 lo «scippo» sulla cultura arriva già a quota due milioni di euro, l’anno seguente raggiunge la cifra «monstre» di 17 milioni. Intanto Franceschini è tornato a occupare la sedia da ministro della Cultura e difende il provvedimento: «Il bonus cultura per i diciottenni è un’iniziativa di successo e un investimento importante che in questi anni ha visto crescere il volume dei giovani iscritti». Peccato che molti di quei ragazzi non abbiano investito in abbonamenti per giornali o corsi di pittura o di danza, come sperava il golem del Pd, ma riuscendo a scambiare il bonus con moneta contante abbiano acquistato capi d’abbigliamento griffati, playstation, nonché alcolici. Le vie per incassare il voucher in modo fraudolento, hanno ricostruito i finanzieri, sono state essenzialmente due: o grazie a una cartolibreria compiacente, che ha trattenuto parte del bonus per sé, restituendo una somma in contanti al diciottenne, oppure, bisognava andare in Rete. Un paio di canali Telegram sono ancora attivi («ma tempo addietro se ne contavano una decina», spiega un investigatore a Panorama), con ben 27 mila iscritti. Un messaggio automatico è fisso sul display: «Ciao, cerchi qualcuno che ti possa convertire il bonus 18 App in soldi? Sei nel posto giusto! Segui le istruzioni». Si può scegliere un accredito su Postepay e su PayPal. Il procedimento è semplicissimo: si generano due buoni da 250 euro cliccando due volte sulla parola «libro».
Ma invece di aver acquistato un volume si ottengono tra i 300 e i 400 euro, a seconda dell’operatore che si sceglie. Per i contanti, invece, bisogna passare comunque da una cartolibreria. A Napoli l’inchiesta ha coinvolto oltre duemila indagati. Ad Ancona i furbetti scoperti sono addirittura 2.500: avrebbero usato il bonus per videogame, contribuendo alla truffa di una società che nascondeva le transazioni simulando l’acquisto di musica digitale. A Palermo un libraio, da solo, avrebbe incassato voucher per 450 mila euro. Ed è stata scoperta perfino una falla nel sistema informatico del ministero: un hacker di 18 anni ha svelato quanto possa essere facile impossessarsi di account degli studenti e intascare i bonus al posto loro. Isolando le vulnerabilità nel codice che governa 18 App sarebbe così possibile alterare l’intero sistema, cancellando i buoni di tutti gli utenti oppure impossessandosi addirittura del complessivo budget assegnato. A quel punto il pirata (buono) del web ha contattato il Cert (Computer emergency response team) e la Sogei, società che gestisce il sistema informativo del ministero dell’Economia, segnalando i problemi.