L’Italia rischia nel giro di qualche anno di restare senza nidi e scuole dell’infanzia. Nel Bel Paese le strutture statali che offrono servizi alla fascia 0-6 anni sono poche e a riempire il “vuoto” lasciato da anni dallo Stato sono le paritarie: secondo i dati della Federazione italiana scuole materne, la scuola dell’infanzia paritaria copre il 35%. Senza le paritarie, 400mila bambini non avrebbero questo servizio. A questo numero vanno aggiunti altri 100mila piccoli dei nidi per un totale di circa 9mila enti paritari (di diverso genere, parrocchiali, laici etc) sul territorio nazionale. Ma ora è allarme.
Il calo demografico ha lasciato il segno anche in questo settore visto che nel corso degli ultimi dieci anni si sono registrate 1.445 chiusure (1.306 infanzia e 139 primaria) ma un secondo problema è l’esodo dei docenti che passano dalla paritarie alle statali per migliorare lo stipendio. “Il nodo della questione – spiega a Ilfattoquotidiano.it il presidente della Fism, Giampiero Redaelli – è presto detto: con i pensionamenti lo Stato apre al reclutamento di personale che spesso a malincuore lascia le nostre strutture per poter guadagnare di più. Una nostra maestra rispetto a un docente di scuola statale guadagna in media 200 euro in meno ma lavora trentacinque ore anziché venticinque o trenta”. Quest’anno è prevista un’emorragia dalle paritarie di circa un migliaio di persone. Numeri che mettono in ginocchio questi enti, comunque necessari in un Paese che non ha investito nell’istruzione pubblica per la fascia zero. In Lombardia le paritarie coprono il 50% del servizio e in Veneto il 60% con rette che si aggirano attorno ai duecento euro medi, pasti compresi: il doppio di quello che una famiglia spende in un’infanzia statale.
Redaelli è ben consapevole di questa situazione. Da anni analizza i dati ed ora è preoccupato: “Abbiamo incontrato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella e rappresentanti del ministero dell’Economia. C’è l’impegno di tutti a risolvere il problema ma qui serve un investimento serio. Il costo medio di uno studente della scuola dell’infanzia statale è di 7mila euro l’anno; quello di un nostro bambino è della metà ma lo Stato assegna a noi un decimo di quanto spende per le sue strutture. Con un intervento di circa 500 milioni di euro questo gap sarebbe azzerato. Siamo di fronte a un bivio: o si costruiscono nuove scuole statali o si aiutano quelle che già esistono che altrimenti rischiano la chiusura”.
Redaelli non nasconde che i Comuni spesso fanno delle convenzioni per finanziare queste scuole ma non basta: “Accade soprattutto al Nord Italia ma non sempre. Nel Centro Sud sono scuole d’ispirazione religiosa che vanno avanti con gli stipendi delle suore”. Il pericolo è quello dello spopolamento di alcuni paesi: ad oggi dove c’è una scuola dell’infanzia o un nido ci sono anche famiglie che scelgono di andare a vivere. “In Lombardia – dice il presidente – siamo presenti in 500 comuni. Se non riusciamo più a mandare avanti le strutture dove andranno questi bambini? Le ripercussioni non sono solo di ordine economico per le insegnanti ma anche per quelle madri che non potranno più andare a lavorare per stare a casa con i figli”. L’esempio più eclatante arriva dal Veneto dove le paritarie dell’infanzia sono 1.100 mentre le statali circa trecento: la Fism ha calcolato che solo a Padova (dove le scuole paritarie sono 187 con quindici mila bambini all’infanzia e tre mila ai nidi), oggi mancano 150 maestre su 900.
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