Il motivo per cui le banche italiane hanno chiuso il 2022, e soprattutto chiuderanno il 2023, con bilanci record è che hanno trasferito ai loro depositante una quota davvero misera dei benefici che hanno ottenuto dal veloce e forte aumento dei tassi attuato dalla Banca centrale europea. Secondo calcoli degli analisti di S&P appena il 10%, a fronte di una media euro doppia, il 20% della Germania o il 35% della Francia. Dunque la voce di bilancio denominata margine di interesse (quella su cui si applicherebbe la tassa sugli extraprofitti) è salita in misura molto significativa, spesso di oltre il 20%. Il margine d’interesse rappresenta infatti la differenza tra quello che una banca incassa con gli interessi che fa pagare sui suoi prestiti e ciò che paga a chi presta a lei i soldi (i depositanti). Quando il costo del denaro della Bce, immediatamente sale anche il costo del “denaro delle banche” quindi rate dei mutui a tasso variabili e nuovi finanziamenti mentre gli istituti di credito sono molto più lenti nell’incrementare i tassi su depositi etc.. In Italia ancora più lentamente che altrove. La tassa sugli extraprofitti interviene su questa differenza, tassandola al 40% per due anni, se l’incremento rispetto all’anno prima è stato di almeno il 5% nel 2022 e del 10% nel 2023.
Per il 2022 i giochi ormai sono fatti ma, in linea del tutto teorica, le banche avrebbero un modo per diminuire o persino eliminare il prelievo relativo al 2023. Basterebbe alzare gli interessi che pagano a depositanti e correntisti. Certo, ormai alla fine del 2023 mancano meno di 5 anni. Quindi per avere un qualche effetto concreto dovremmo vedere gli interessi impennarsi nell’autunno. Sui conti correnti italiani giacciono circa 1.500 miliardi di euro. Un misero interesse dello 0,1% distribuirebbe ai correntisti 1,5 miliardi di euro in un anno, nulla di eccezionale ma un puntello per il potere d’acquisto che si prosciuga rapidamente, in grado almeno di compensare i costi della tenuta del conto. Facciamo un esempio concreto. Intesa Sanpaolo ha chiuso i primi sei mesi del 2023 con un incremento del margine di profitto di 2,8 miliardi di euro (+ 68%). Ipotizziamo che l’anno si chiuda così. La banca dovrebbe pagare in tassa sugli extraprofitti 1,1 miliardi. In realtà un po’ meno perché è previsto che il versamento non superi lo 0,1% degli attivi, che nel caso di Intesa Sanpaolo significa 950 milioni. La banca ha depositi per circa 532 miliardi di euro. Se aumentasse la loro remunerazione poco più dello 0,1% praticamente non dovrebbe versare all’Erario neppure un euro.
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