«Che cos’è per me la ginnastica artistica in una parola? Libertà». A dirlo è Federica Macrì, la ginnasta dalla carriera stellare. Nata nel 1990, cresciuta all’Artistica 81, la farfalla triestina è poi volata in Nazionale conquistando l’oro agli Europei del 2006. Ma di medaglie ne ha collezionate molte fino a partecipare alle Olimpiadi di Pechino, senza dimenticare due presenze Mondiali: «La sensazione che mi dà la ginnastica artistica è la libertà – dice la campionessa – sei libero di volare, di muovere il corpo, libero da catene non solo fisiche, ma anche ideali».
A quanti anni ha iniziato?
«A tre anni nei corsi di base, mentre l’agonismo a sei anni. Le prime gare si compiono all’età di otto anni. Si inizia molto presto in questo sport».
Tra i suoi allenatori c’era una Teresa Macrì, una sua parente?
«Sì, è mia zia. L’artistica la praticavano già mia cugina e mio fratello, entrambi più grandi di me, quindi li ho seguiti».
Quando ha capito che sarebbe stato l’obiettivo della sua vita?
«Tardi. Forse ero un po’ incosciente rispetto a tutto quello che stavo facendo. Verso i sedici anni, quando ho vinto la prima medaglia europea, mi sono resa conto delle mie possibilità e ho iniziato a pensare che era un impegno energico, ma questa consapevolezza l’ho avuta solo dopo i primi risultati internazionali».
E quali sono i costi umani che si pagano?
«Più che uno sport è una disciplina a 360 gradi perché riguarda sia la sfera sportiva che quella della vita reale, quotidiana, perché alla fine si è sempre impegnati. Bisogna mettere al primo posto il riposo piuttosto che il divertimento, la dieta rispetto al piacere del cibo. Ovviamente tutto ciò nell’età adolescenziale diventa sempre più difficile. E bisogna considerare che pure la famiglia fa molti sforzi, anche se si capisce una volta che si è adulti, con il senno di poi comprendi che mamma e papà d’estate facevano solo una settimana di ferie perché dovevano essere disponibili per le gare e per gli allenamenti, è un sacrificio che coinvolge tutti i tuoi cari. Bisogna avere basi molto forti e solide altrimenti non ce la fai».
Esiste effettivamente una pressione psicologica e fisica costante o lo scandalo di Desio fa storia a sé?
«Va detto che la ginnastica ritmica e artistica sono due mondi diversi. La ritmica la praticano quasi esclusivamente donne, nell’artistica ci sono anche uomini, quindi questo mette un po’ al riparo. Personalmente non ho mai assistito ad aggressioni verbali violente. Comunque sì, c’è una grande pressione psicologica per varie questioni come la dieta. Tuttavia sono cose che bisogna mettere un po’ in preventivo, ogni sportivo sa che dovrà mantenere un regime alimentare buono. Io sono contenta perché negli ultimi anni, da questo punto di vista, la nostra federazione è cresciuta molto, è molto più attenta a queste problematiche. Un tempo si prestava meno cura agli aspetti psicologici, l’allenatore copriva tutti i ruoli mentre ora le ragazze sono più seguite, oltre all’allenatore ci sono nutrizionisti e assistenti. In ogni caso del sacrificio ci deve essere, se vuoi arrivare ai massimi livelli questo è lo scotto da pagare».
Qual è stata la vittoria più intensa?
«L’oro a squadre agli Europei del 2006 perché è stata totalmente inaspettata ed è stato il primo oro per l’Italia nella storia della ginnastica italiana. E anche perché abbiamo battuto Russia e Romania che erano invincibili».
Una sua collega che le è rimasta nel cuore?
«La mia amica del cuore, che a tutt’oggi per me è una persona importante ed è Francesca Benolli, anche lei triestina, eravamo insieme a tutti gli appuntamenti decisivi e anche alle Olimpiadi. E poi sono rimasta molto amica di Vanessa Ferrari, la aiuto ogni anno nel suo summer camp a Lignano, collaboriamo spesso insieme».
Ma è stato possibile avere una vita privata nei suoi periodi sportivi più intensi?
«Sì, direi di sì. Io ho sempre avuto dei fidanzati e degli amici, certo è tutto un po’ ridotto, non potevo fare le sei di mattina. Sicuramente le grandi feste e i grandi viaggi vengono fatti più tardi, ma devo dire che nei limiti si riesce a fare tutto. Tra l’altro ho anche seguito la scuola pubblica, tranne l’anno delle Olimpiadi in cui ho frequentato un istituto privato, insomma devo dire che la mia adolescenza l’ho vissuta, anche se non al cento per cento».
Dal 2019 ha appeso il body al chiodo, cosa è cambiato?
«Ero indecisa, ci ho messo 5 anni per smettere. Infine ho concluso l’attività agonistica nel 2019, un anno perfetto perché era appena prima del Covid, cioè era l’ultimo anno con i palazzetti pieni, ho fatto la mia ultima gara a Firenze al Nelson Mandela che era stracolmo di gente, ho un ricordo bellissimo. Non ho rimpianti».
E ora?
«Ero già allenatrice e tutt’ora lo sono, mi occupo del livello promozionale delle junior, cioè quello sotto l’agonistica e parallelamente porto avanti il lavoro del mondo del fitness, faccio la personal trainer e sono attiva anche in un’app per allenamenti di Milano».
Rispetto ai suoi tempi è cambiata la mentalità dei giovani atleti?
«Un po’ è cambiata, diciamo che i giovani oggi hanno meno pazienza».
Tra l’altro lei ha una determinazione esemplare, è riuscita a partecipare a gare dopo danni fisici o energiche influenze. Da dove arriva questa grinta?
«Sono sempre stata così. Mi piace la sfida all’impossibile. Mi aiuta questo spirito di sacrificio che, con tutta probabilità, ho ereditato dalla famiglia perché mia madre e i miei nonni ce lo avevano. Quindi quando mi trovo di fronte a notevoli competizioni il mio pensiero è: non si molla! Non per gli altri ma perché devo dimostrare a me stessa che la prova può essere superata. La vicenda più esemplare è quando mi sono rotta il tendine a febbraio del 2008 e ad agosto ero alle Olimpiadi. Per cui: non si molla!».
