«Troppe ore di attesa, brutta ...». Insultata una volontaria Avo, l’Associazione dei volontari ospedalieri, da un uomo che attendeva l’esito delle visite della moglie. «Non è la prima volta, durante il Covid ci abbiamo fatto, purtroppo, l’abitudine. Tanto che frequentiamo corsi specifici proprio per affrontare le situazioni di tensione e stemperarle».
Sono poco meno di 100 i volontari Avo, lavoratori e pensionati, donne (molte) e uomini, che dedicano alcune ore della settimana, da due a una decina, per il prossimo. Lo fanno attraverso l’Avo, accogliendo le persone al pronto soccorso dell’ospedale di Pordenone, accompagnandole in alcuni reparti, facendo animazione a Casa Serena. A settembre partiranno altri due progetti: nella terapia intensiva e alla pediatria.
Le tensioni con alcuni utenti non mancano. Com’è accaduto questa settimana quando una volontaria è stata insultata da un uomo che riteneva eccessivo il tempo di attesa per gli esiti degli esami alla moglie. Era la sera del maltempo e si era verificato un rallentamento degli esami per motivi tecnici. La coppia era in attesa al pronto soccorso da alcune ore quando l’uomo ha sbottato, mandando a quel paese, con vocaboli offensivi e volgari la volontaria. Successivamente la moglie si è scusata, lui no.
«Abbiamo imparato a gestire anche queste situazioni, che erano tantissime al tempo del green pass», dice la presidente dell’Avo Piera Grava. L’associazione opera nel mondo della sanità pubblica da 35 anni. All’ospedale di Pordenone nei punti di accoglienza del pronto soccorso e nei padiglioni L, A e B e nei reparti di chirurgia, ortopedia, ostetricia, con attività modulate alle richieste di Asfo, dal lunedì al venerdì da mattina a sera e sabato mattina.
«I volontari – spiega la presidente – hanno frequentato corsi dedicati per gestire la rabbia del paziente, ma soprattutto del parente, e per abbassare la tensione». Volontari e volontarie con funzione “ammortizzante” soprattutto nei momenti di difficoltà.
«Accogliamo e accompagniamo il paziente al triage, sostiamo con lui nelle camere, perché come noto il tempo di degenza è “dilatato”, facciamo attività di animazione a Casa Serena».
Al pronto soccorso, in particolare, il paziente suona e trova i volontari Avo. «Lo accompagniamo al triage, fungiamo da trait d’union con i parenti, che dal Covid in poi non possono più accedere alla sala di attesa a meno che non si tratti di anziani o persone fragili. Capita che il malato chieda di riferire ai parenti che attendono fuori che sta bene e quindi di non preoccuparsi, che ha scaricato il cellulare, che non manca molto per la dimissione o il trasferimento in reparto».
Oggi i soci Avo sono 95, in autunno si aggiungeranno 25 tirocinanti che faranno un corso di formazione con un tutor, su sguardo, accoglienza e gentilezza. Nessuno s’improvvisa volontario, insomma. Sempre più coloro che lavorano, dai 20 ai 75 anni, più donne rispetto agli uomini. L’impegno varia dalle 2 alle 10 ore settimanali. «Non è importante la quantità, bensì la qualità del tempo trascorso con chi ha bisogno».
A settembre partiranno due nuovi progetti: uno per l’accoglienza dei parenti dei ricoverati in terapia intensiva e uno (si tratta di una ripresa) in pediatria.
