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Così l’Europa ci nutre a colpi di erbicida



È il glifosato, potente diserbante che, in base a quanto ha oggi stabilito l’Efsa (l’Autorità per il controllo sugli alimenti della Ue), non presenta «aree di preoccupazione critica». Eppure in alcuni casi se ne sono trovate tracce anche nel latte materno. E numerosi studi ne hanno confermato la pericolosità per l’ambiente e per l’uomo. Fino al rischio di cancro. E non solo.

Dareste da mangiare un piatto di pasta a vostro figlio, se sapeste che può contenere residui di una sostanza potenzialmente dannosa? E se scopriste che quell’agente penetra persino nel latte materno, con possibili conseguenze sul sistema endocrino e potenziali effetti neurotossici, non chiedereste una moratoria sull’uso del prodotto? Cosa pensereste se l’Europa, alla faccia del principio di precauzione, facesse sostanzialmente spallucce?

Buttate un occhio alla vostra dispensa: quanti pacchi di spaghetti, fusilli e pennette riportano la dicitura «Grano Ue e non Ue»? Ecco: ricordatevi che la materia prima che proviene da Usa e Canada potrebbe essere contaminata dal glifosato, un erbicida di cui i coltivatori nordamericani fanno largo impiego anche in fase di preraccolta. Una pratica vietata in Italia, perché le piante assorbono quella sostanza, che va a finire nel nostro cibo. E nell’alimento fondamentale per i primi mesi di vita dei bambini.

Cosa comporta tutto ciò? Gli studi sulla tossicità e, in particolar modo, sulla cancerogenicità del diserbante, sono numerosi e allarmanti. Quanto allo sviluppo dei piccini, si parla di alterazioni dei livelli ormonali e di un fattore di rischio per disturbi che spaziano dall’autismo (in età infantile) al morbo di Alzheimer (da anziani). Di tali pericoli ha fornito un’ampia panoramica un recente rapporto del centro studi Divulga.L’argomento è tornato attuale perché, entro fine anno, la Commissione europea, che ha già concesso una proroga all’uso del glifosato, dovrà pronunciarsi sulla sua autorizzazione. E pochi giorni fa l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha rilasciato un parere che non dirime la controversia: «La valutazione d’impatto sulla salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente non ha evidenziato alcuna area di preoccupazione critica».

Restano però alcune «lacune nei dati» e «questioni che non è stato possibile risolvere in via definitiva». In particolare «la valutazione di una delle impurità presenti nel glifosato, dei rischi per le piante acquatiche» e del rischio alimentare per i consumatori». Che poi è l’incognita principale, che riguarda la popolazione, se si vuol sorvolare sui pericoli per gli agricoltori, evidenziati da una ricerca condotta in Francia nel 2022.

Qualche numero aiuta a comprendere la magnitudine del problema. Nel 2020, in sette pacchi di pasta presenti nei nostri supermercati su 20 analizzati, sono state rinvenute tracce di glifosato. Il nostro Paese importa un terzo del suo grano duro dall’estero, con un bacino d’approvvigionamento coperto al 70 per cento da Canada e Usa, grandi utilizzatori della molecola.

In Thailandia e in Brasile, un’indagine sul latte materno ha evidenziato residui dell’erbicida nel 100 per cento dei casi. Nel loro resoconto, uscito l’anno scorso sul Brazilian journal of medical and biological research, gli scienziati che hanno analizzato i campioni del Paese sudamericano segnalavano che i quantitativi rilevati erano inferiori alle soglie critiche; ma ricordavano che, nelle analisi sui ratti e altre specie animali nutrite con latte contaminato, il glifosato era stato associato a disfunzioni dell’apparato riproduttivo. E ammettevano che i fenomeni di interferenza endocrina meritano di essere approfonditi.

Panorama ne ha parlato con la dottoressa Fiorella Belpoggi, dell’Istituto Ramazzini, che si occupa di prevenzione del cancro e delle malattie di origine ambientale. L’esperta lavora da un decennio sul glifosato ed è conosciuta e stimata anche in America, dove una vasta coalizione di mamme, nel 2014, finanziò il primo studio pilota, dal quale partì l’allarme sul latte per i bebè.

«Un interferente endocrino» spiega Belpoggi «è un agente che altera i meccanismi che presiedono alla secrezione degli ormoni. In particolare, il glifosato stimola la produzione di livelli più elevati di testosterone, che nelle ragazze si traducono in un ritardo della comparsa del primo mestruo e in un’anomalia anatomica, che poi è il prodotto di questa sorta di mascolinizzazione: tende ad aumentare, infatti, come avviene nel corpo dei ragazzi, la distanza anogenitale, cioè la distanza tra ano e vagina, misurata alla nascita nelle figlie di donne che sono state esposte al diserbante». Non solo: «È ormai documentata la neurotossicità del glifosato». Ed esiste un legame con l’autismo? «È possibile» risponde l’esperta. «Probabilmente questa non è l’unica causa, ma non si era mai vista una gioventù così aggredita da certe patologie. I pesticidi devono giocare qualche ruolo».

Già nel 2017 l’Istituto Ramazzini avvertiva che «le maggiori preoccupazioni correlate alla diffusione di glifosato riguardano i bambini. Le esposizioni precoci possono provocare malattie degenerative di vario tipo (infertilità, diabete, malattie endocrine, ecc. fino al cancro)».

Anche l’Oms, due anni prima, lo aveva classificato come «potenzialmente cancerogeno» per l’uomo. E lo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha collocato questo diserbante nella categoria dei «probabili cancerogeni». Quest’anno inoltre il National cancer institute, che fa capo alla Casa Bianca, ha stabilito una correlazione tra tassi elevati del composto nell’organismo e la presenza di significativi livelli di stress ossidativo, condizione che, secondo la ricerca, può condurre all’insorgere di tumori. È un monito da prendere sul serio, visto che, stando ai Cdc americani, il glifosato si trova nell’80 per cento dei campioni di urina processati in laboratorio.

Neppure l’elemento più essenziale per la vita parrebbe al riparo dalla contaminazione: nel 2015, un paper pubblicato su Environmental Health ha certificato che l’esposizione cronica a basse dosi di glifosato nell’acqua potabile causa, nelle cavie, danni al fegato, ai reni e vari tumori. Persino le colture di cellule delle ovaie dei bovini hanno mostrato un deterioramento delle funzioni ovariche. Le mucche hanno sofferto anche di botulismo e hanno presentato segnali di possibili alterazioni al sistema immunitario.

Alberto Villani, pediatra del Bambin Gesù, ha ribadito che andrebbero approfonditi «i rischi di alterazioni endocrine». E in America latina l’assorbimento del diserbante è stato collegato a un aumento degli aborti spontanei, a disturbi dermatologici e respiratori, nonché a patologie neurologiche: autismo, Alzheimer e Parkinson.

Non bastassero gli studi a suggerire prudenza, c’è già una sfilza di cause legali e sentenze. La prima risale al 2018, quando la Monsanto, nel frattempo acquisita dal colosso tedesco Bayer e produttrice del Round up, uno dei più diffusi diserbanti a base di glifosato, ha dovuto risarcire un giardiniere californiano, colpito da linfoma non Hodgkin.

In seguito alle controversie in tribunale, la Monsanto era stata costretta a rendere pubblica una grossa mole di documenti, ribattezzati dai media Monsanto papers, dai quali emerge il pressing esercitato dalla multinazionale nei confronti dei regolatori. Non solo: si era scoperto che una precedente valutazione dell’Efsa, che aveva sostanzialmente scagionato il composto, in molti passaggi ricalcava i dossier redatti dalla stessa Monsanto.

Il vigilante che copia il vigilato. Non proprio una grande trovata, se è vero quanto riferito dal Guardian: il quotidiano inglese ha sostenuto che solo due degli 11 studi forniti alle autorità europee erano scientificamente affidabili. L’Università di Vienna, dal canto suo, ha bocciato quasi tutte le risultanze sulla sicurezza del glifosato consegnate all’Authority dell’Ue da Bayer e altre società chimiche.

La Commissione farebbe bene a drizzare le antenne. Solo pochi mesi fa, la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ha annunciato che la nostra è l’epoca della «permacrisi». I tre cavalli dell’apocalisse sarebbero la guerra atomica o batteriologica, le pandemie e l’antibiotico-resistenza. Apocalisse cui il glifosato potrebbe contribuire.

A oggi, per esempio, non si conoscono con certezza i tempi di degradazione della molecola. Secondo: l’erbicida è stato associato alla scomparsa locale di numerose specie e alla difficoltà di ripristinare gli habitat preesistenti. Terzo: il vento ne può estendere gli effetti alle piante che andrebbero invece risparmiate dall’agente chimico. Quarto: sono stati documentati effetti sulla rizosfera, quella parte del suolo che circonda le radici delle piante e ne regola l’assorbimento dei nutrienti. Quinto: potrebbe essere pericoloso anche per api, uccelli, piccoli mammiferi, ragni, lombrichi e varie specie anfibie.

Va detto che l’Italia qualche provvedimento per limitare i danni lo ha preso, approfittando del doppio livello di autorizzazione previsto nell’Unione: a Bruxelles, infatti, spetta dare l’ok alle sostanze attive, ma sono i singoli Stati a regolare l’impiego dei prodotti che le contengono. Così, nel 2016, Roma ha bandito l’uso in preraccolta del glifosato, di cui ha ridotto del 20 per cento il consumo tra il 2013 e il 2017.

Dopodiché, un Regolamento comunitario, risalente al 2002, consacra esplicitamente il principio di precauzione: se la scienza non è in grado di dare garanzie, meglio muoversi per contenere eventuali effetti indesiderati. È in virtù di tale prudenza, bollinata da tanto di norma dell’eurocrazia, che, durante la pandemia, chi gestiva l’emergenza, da Giuseppe Conte a Mario Draghi, oltre all’onnipresente Roberto Speranza, giustificava l’adozione di restrizioni e divieti. Cosa dovrebbe esserci di diverso, nel caso del glifosato? Che fine ha fatto la sacrosanta precauzione?

«È un’ottima domanda» commenta Belpoggi. «Il punto è che l’Efsa è sottoposta a pressioni fortissime, perché la diffusione su larga scala dei diserbanti ha portato a una rivoluzione nell’agricoltura, con la sostituzione dell’antica manodopera umana di chi, manualmente, eliminava le erbacce. In futuro, magari, avremo droni in grado di realizzare un’agricoltura di precisione, ma fino a quel momento gli stessi contadini rifiuteranno di abolire tout court i pesticidi».

In linea di massima, tocca rilevare che le cautele tendono ad allentarsi quando di mezzo ci sono galline dalle uova d’oro come Big pharma: i vaccini anti Covid, per dire, sono stati somministrati a tutti, giovani, vecchi, sani, fragili, addirittura improvvisando un mix and match di preparati mai testato in precedenza. E anche sul glifosato l’Europa finora ha chiuso un occhio. Sarebbe bizzarro se, adesso, chiudesse pure l’altro.

Nell’infatuazione collettiva per il Green deal, a Bruxelles è passato il dogma della strategia Farm to fork, che impone una sforbiciata ai pesticidi. E poi c’è l’approccio One health, l’altra parola d’ordine che parte dall’Oms e predica l’attenzione ai complessi equilibri tra salute umana, benessere animale e integrità dell’ambiente. Per il verdetto sul glifosato, von der Leyen & C. hanno tempo fino al 15 dicembre. I campioni del paternalismo sanitario e dell’universo elettrificato possono davvero fare finta di niente?

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