Rigore, ricerca quasi ossessiva della verità e, al tempo stesso, un’attitudine all’ironia coltivata con raffinata strategia per tutta la vita. Erano questi i tratti distintivi di Andrea Purgatori, “giornalista e gentiluomo”, come l’ha definito poche ore dopo la sua morte il collega di rete Corrado Formigli, autore di inchieste che hanno lasciato il segno nella storia del giornalismo italiano. Dalla strage di Ustica – uno dei “punti fermi” della sua carriera: fu grazie a lui che si è evitò l’archiviazione del caso – all’omicidio Moro passando per l’arresto di Totò Riina e il caso di Emanuela Orlandi. Sempre con un obiettivo preciso: provare a sfondare il muro di gomma delle tesi precostituite e dell’omertà che hanno contraddistinto i grandi fatti di terrorismo, intelligence e criminalità. Che fosse un’inchiesta per il Corriere della Sera o per la tv. Come in Atlantide, una delle sue creature più longeve e riuscite, marchio storico di La7 che conduceva dal 2017 e che aveva plasmato cucendoselo addosso: a dominare era non era il solito parolaio formato talk ma il giornalismo fatto per conoscere e capire. Il suo stile? Asciutto, rigoroso, lontano dalle liturgie e dai fastidiosi birignao televisivi. Un metodo consolidato, che piaceva al pubblico e alla critica, con punte di oltre 800mila spettatori che lo seguivano anche negli speciali dai temi apparentemente più ostici.
Ma era proprio quella la sua specialità: che fosse il racconto dell’attualità (anche in pieno Covid o durante i mesi della guerra in Ucraina), Purgatori mischiava con sapienza il linguaggio del racconto e quello del documentario (con molti inediti per la tv italiana), spezzati dai suoi raccordi in studio per approfondire, per arrivare a tutti con l’ambizione di aprire una finestra e trovare un punto di vista diverso. Senza spocchie, senza snobismi. “Senza presunzione, l’unico contributo che un conduttore può dare a questa idea di programma è di essere capaci di raccontare. E allora io ho messo insieme la mia esperienza giornalistica con quella di sceneggiatore cinematografico e televisivo per provare a farlo”, spiegò in un’intervista.
Del resto, per Purgatori il giornalismo era il mestiere più bello del mondo: “Sei testimone della storia e ha la possibilità di raccontarla. Una professione strategica per ogni democrazia che possa dirsi compiuta”, disse appena un anno fa, ospite del Giffoni Film Festival. Senza dimenticare lo stato di salute del giornalismo nel nostro paese: “Purtroppo oggi in Italia ci sono 40mila precari con paghe indegne che rappresentano un attentato alla libertà della informazione”. Frase che dice molto di quanto Purgatori preferisse essere uomo in ascolto continuo col presente, più che un “venerato maestro”.
Non è un caso che mischiasse i linguaggi e anche gli strumenti del suo lavoro, passando dalla carta stampata alla tv generalista, dalle piattaforme (partecipò anche al docu-film di Netflix su Emanuela Orlandi, uscito nel 2022, altro caso di cui si è occupato a lungo provando ad andare oltre le piste già battute) al cinema e alle serie tv. Come sceneggiatore e qualche volta anche come “attore per caso”. Capace persino di inaspettate “follie”, come le ha definite Corrado Guzzanti, con cui strinse un sodalizio tra i più clamorosi, partecipando a Il caso Scafroglia, Fascisti su Marte e Aniene.
“È morto uno dei miei amici più cari. Grande giornalista, grande autore, compagno di molte follie”, ha scritto su Instagram Guzzanti. Che proprio in Fascisti su Marte lo convinse a recitare la parte di Fecchia nei surreali cinegiornali del Ventennio fascista sottratti alla censura, che riportavano alla luce una finta vicenda mussoliniana, a colonizzazione di Marte. Purgatori collaborò con Guzzanti anche alla scrittura di Aniene, in onda su Sky, e sempre sul fronte comico fu coautore del programma televisivo di Antonio Albanese Non c’è problema, su Rai3. Ma nel suo curriculum c’è persino Boris, iconica serie tv nella quale vestì i panni dell’esilarante avvocato Kalemzuck in alcuni episodi della seconda e quarta stagione (2008 e 2022). Ma ha scritto molto e di tutto, comprese serie tv dai registri diversi, dal longevo Un caso di coscienza a La compagnia del cigno, gioiellino diretto da Ivan Cotroneo. Purgatori ha avuto una dote rara: sapeva mescolare linguaggi e generi, parlando al pubblico senza mai rinunciare alla sua profonda passione civile.
L'articolo Andrea Purgatori è morto, Corrado Guzzanti : “Uno dei miei amici più cari, compagno di molte follie”. Insieme in Fascisti su Marte e Aniene, addio al giornalista che sapeva mischiare i linguaggi proviene da Il Fatto Quotidiano.