TRIESTE È l’estate del 1988. In un locale di Seoul, un canottiere triestino improvvisa canzoni napoletane. Il vino in testa e le medaglie al collo. Le tute in valigia lasciano posto a smoking e abiti lunghi. È la festa dei campioni: l’Italia ha appena vinto sei ori, quattro argenti e quattro bronzi ai Giochi olimpici organizzati dalla Corea del Sud. La tarantella impazza, al piano Giovanni Miccoli: qualche giorno prima, il triestino ha disputato la sua ultima grande competizione da atleta.
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La semifinale non è stata fortunata, ma la festa è decisamente scatenata: tant’è che Alfredo Pigna, storico giornalista sportivo della Rai, subito s’emoziona. Il cronista fa un paio di chiamate a Roma e attrezza uno special musicale da mandare in onda il giorno dopo (passata la botta, e bevuti centinaia di caffè): atleti olimpionici che suonano la canzone partenopea. Inutile cercare: di quello speciale non c’è, chiaramente, nessuna traccia.
Miccoli s’era improvvisato pianista come, anni prima, s’era innamorato del canottaggio. L’estate con gli amici, per curiosità. Le prime vere uscite con l’equipaggio dei Vigili del fuoco “Ravalico”. Era il ’79 e Miccoli aveva 16 anni. La sveglia suonava alle 5 e mezza per beccare l’acqua ancora fredda, ferma, ideale per remare: un caffè ristretto per svegliarsi, senza latte per rimanere leggeri. S’infilava la divisa biancorossa e poi giù fino alla Diga di Porto Vecchio: si remava fino all’alba, fino all’ora di andare a scuola e addormentarsi sui banchi.
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Le ultime uscite arriveranno anni dopo la sfortunata Seoul ’88: non più come atleta, ma come istruttore, dirigente, guida. Dal 2009 come presidente al timone della Canottieri Nettuno. E a quel tempo pure vicepresidente della Federazione italiana di canottaggio. Lo è nei quattro anni che portarono alle Olimpiadi del 2012: ricorda ancora quel lungo viaggio in macchina da Trieste a Londra. Durato un’infinità: per rimanere al volante si scolò «un migliaio di caffè».
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Tutti quelli che, per il severo regime d’allenamento, «fino ad allora non m’ero potuto godere»: nero e senza zucchero, con un po’ d’acqua calda. I triestini lo guardano come un profano, lui lo fa lo stesso: «Perché il caffè è buono, lo allungo perché duri un po’ di più». Nel mezzo una carriera da commercialista, che «con il canottaggio non c’entra proprio niente». Dalla prima all’ultima remata scorrono gli anni d’oro: gare, titoli, è anche capitato si finisse in mare. Troppi aneddoti da raccontare. Troppi caffè all’epoca bevuti ancora di nascosto, sovvertendo quella regola che agli atleti ne impone appunto pochissimi: uno al giorno, massimo.
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Miccoli nasce agonisticamente nel 1981, quando vince un titolo italiano Juniores nel Due con, assieme all’amico Romeo Grbec che non c’è più. Lo stesso anno partecipa al suo primo campionato del mondo. Remando sulla stessa imbarcazione partecipa più tardi all’Euro-Match des Seniors: negli anni ci tornerà più volte, vincendo due ori e un argento. Nel 1984 è nella squadra di preparazione per le Olimpiadi di Los Angeles, ma rimane escluso. Si consola con un altro paio di titoli, prende e vola a Mosca per i Friendship Games.
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L’alternativa olimpica, boicottaggio dell’allora Unione Sovietica ai giochi californiani: l’imbarcazione «non era delle migliori» e così l’equipaggio fece «una pessima figura». Nel 1988 alle Olimpiadi coreane, che chiudono la sua carriera d’atleta con un piazzamento anche qui non fortunatissimo: in batteria con i tre equipaggi più quotati, «la rotta era già segnata». Le medaglie, però, negli anni non sono mancate, e Miccoli lascia allora i remi soddisfatto. La gara più emozionante? «Ricordarsele tutte...». Sicuramente, ammette, i mondiali del 1985 a Hazewinkel furono da cardiopalma. Il riscatto, dopo una ventina d’anni, per gli azzurri: erano «in forma, carichi come mai», strapparono l’argento nel prestigiosissimo Otto, secondi solo ai russi. La speciale telecronaca di Gian Piero Galeazzi, a risentirsela oggi, «rende tutto un po’ retrò, sentimentale».
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Negli anni, fino al 1987, Giovanni ottiene quattro titoli italiani, un bronzo e un quarto posto ai mondiali di Nottingham e Copenaghen: sveglia sempre all’alba per allenarsi, un caffè nerissimo per svegliarsi e poi un cappuccino a metà giornata. Non si potrebbe, «il latte disturba l’allenamento», ma lo prendeva lo stesso: «All’italiana e non alla triestina».
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Sono anni in cui colleziona successi, gareggia per il mondo pur remando verso casa: gli allenamenti sempre a Monfalcone, sul Brancolo, perché «l’acqua era fredda e calma», perché «era bello così». Si saliva in barca e ci si allenava finché il sole era alto. Di ritorno ci si fermava sempre al Bar Bianco di Duino, che all’epoca era una latteria: Miccoli beveva il suo caffè non concesso, e tutti i clienti lo guardavano «con schifo, sudato e maleodorante». Senza sapere che era un campione
