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Euro esproprio della casa



Adeguare il nostro patrimonio immobiliare alle rigide norme «green» imposte dall’Europa, ossia zero emissioni entro il 2050, significa interventi estremamente costosi, tra 45 e 55 mila euro per ogni edificio, e spesso neppure possibili nei palazzi storici o antichi. Una «patrimoniale» mascherata che colpisce duramente quasi tutti gli italiani. Oltre a svalutare la maggior parte delle abitazioni.

Nei giorni scorsi oltre 25 milioni d’italiani hanno versato con l’acconto Imu 11 miliardi di euro nelle casse dello Stato, si replica tra sei mesi. Il fisco, in un paese dove sinistra e sindacato invocano la patrimoniale spalleggiati dall’Ue, intasca così non meno di 51 miliardi all’anno. Occuparsi di case in Italia obbliga a indossare i guanti bianchi, invece l’Europa si è messa ruvidissime tenaglie, rigorosamente «verdi«, rischiando di strozzare un comparto economico che vale il 30 per cento del Pil, oltre a essere un tratto distintivo del nostro paese. La rigida applicazione della direttiva green sulle abitazioni, per renderle «ecologiche», costerebbe per l’intera ristrutturazione dell’Italia 2.450 miliardi di euro (poco meno di 1.200 per gli edifici pubblici, il resto per quelli privati). Il Pil italiano l’anno scorso è stato pari a 1.909 miliardi.

Chi ha concepito le norme ambientali sull’edilizia, adottate dal Parlamento europeo il 14 marzo scorso e ora in discussione nel trilogo (la trattativa tra Commissione, Consiglio, cioè l’insieme dei governi, e Parlamento) pare non saperlo. E non lo sanno neppure quegli europarlamentari italiani, Pd, Cinque Stelle e Verdi, che hanno votato a favore. La maggioranza che sostiene Giorgia Meloni è stata compatta: tutti contro il provvedimento, ma non è bastato.

L’Italia è il Paese che proprio in virtù della sua specificità ha contrastato con più forza le norme Ue: abbattere entro il 2030, il 55 per cento delle emissioni portandole a zero entro il 2050. Non a caso il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha giudicato la direttiva irricevibile: «È bello ammantarsi di ideali, ma in Italia abbiamo circa 31 milioni di unità. Di queste, 15 milioni sono oggetto di classificazione». Qualcuno ha provato a fare una stima. Il «preventivo» dell’Oice, l’Associazione delle società di ingegneria e architettura aderente a Confindustria, oscilla tra i 45 e i 55 mila euro per ogni abitazione, mentre il computo stilato da ditte specializzate come la Silvi va oltre i 60 mila euro. Se la ristrutturazione riguarda una casa singola si possono superare i 180 mila euro.

Le scadenze fissano al 2028 il limite per i nuovi edifici: entro quella data dovranno essere a emissioni zero. Quelli esistenti dovranno avere la classe energetica E per il 1 gennaio 2030 e D entro il 2033. Per il riscaldamento, è previsto il divieto di combustibili fossili entro il 2035 e l’abolizione di sussidi per l’installazione di boiler a combustibili fossili entro il 2024. È questa la prima scadenza cui far fronte: dal 2025 l’installazione di caldaie a gas in edifici nuovi e in ristrutturazione sarà vietata. Il paradosso è che fino al 31 dicembre vale il bonus caldaia: si può detrarre fino al 50 per cento della spesa per interventi da 30 mila euro, fino al 65 per cento fino a 96 mila euro.

Secondo l’Istat, gli immobili residenziali (poi ci sono quelli pubblici) che dovranno immediatamente passare dalla classe G, l’ultima, in classe E sono quasi due milioni. Secondo altri calcoli - quelli dell’Associazione dei costruttori - il 62 per cento delle case italiane rientra nella fascia F o G, e finora meno dell’1 per cento all’anno è stato ristrutturato. Insomma, da qui al 2030 andrebbero aperti 21 milioni di cantieri per una spesa pari a 1.260 miliardi di euro. Come nota Pichetto Fratin: «Se con il Superbonus, spendendo 110 miliardi, siamo riusciti a intervenire su 360 mila immobili, quanto servirebbe per agire entro il 2030 su quasi 15 milioni di unità? Cifre astronomiche che non possono permettersi né lo Stato né le famiglie italiane». E proprio lo Stato sarà il primo moroso perché le scadenze sono più ravvicinate: gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero dal 2026, arrivare in classe energetica E l’anno dopo, e nella D entro il 2030.

L’Italia ha un milione di immobili pubblici, pari a 325 milioni di metri quadri. E meno del 10 per cento ha requisiti compatibili con la direttiva: ci sono circa 40 mila scuole, 800 ospedali, 400 mila uffici comunali da adeguare; considerando una spesa media di 500 euro al metro quadrato viene fuori la cifra monstre di 1.190 miliardi di euro. Lo scorso 15 marzo, il giorno dopo il «sì» del Parlamento europeo, rispondendo al question time alla Camera la premier Giorgia Meloni ha detto: «Si tratta di obbiettivi temporali non raggiungibili per l’Italia, il cui patrimonio immobiliare è inserito in un contesto molto diverso da quello di altri Stati per ragioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come bene rifugio. Il Parlamento europeo ha ritenuto di inasprire il testo iniziale. Una scelta che consideriamo irragionevole e mossa da un approccio ideologico».

Che vi sia un’incomprensione della specificità italiana lo dimostra lo stesso proponente Ciaran Cuffe, deputato dei verdi irlandesi, che candidamente ammette: «Abbiamo dato la deroga per gli edifici storici e l’Italia può escludere il 20 per cento delle case antiche». Bisognerebbe forse spiegare all’irlandese che loro hanno 59 abitanti per chilometro quadrato, noi quasi 200. Da noi la casa è considerata da tutti bene rifugio e il 77 per cento degli italiani la possiede. Sei persone su dieci vivono in Comuni sotto i 5 mila abitanti, dei quali otto su dieci sono borghi storici.

Nella lista dei 58 siti Unesco d’Italia, 50 sono centri storici, intere città, porzioni estesissime di territorio molto antropizzate. Come spiega l’architetto Samuela Giustozzi, ricercatrice sulle case di terra e i materiali biocompatibili, «eseguire il cappotto termico a un edificio in pietra o a mattoni facciavista - i materiali usati in tutti i borghi italiani - significa renderlo invivibile perché la condensa dell’umidità all’interno lo rende insalubre e alla lunga ne compromette la struttura. Quanto ai pannelli fotovoltaici è impensabile d’installarli nei centri storici».

C’è un’altra possibile lettura. L’ha data la stessa Meloni quando sostiene che questa è una patrimoniale mascherata. La presidente Ursula von der Leyen insiste - e in qualche modo condiziona l’erogazione dei soldi del Pnrr anche a questo - per la riforma del catasto, con un chiaro intento fiscale fissando la tassazione sugli immobili al valore di mercato. Passiamo all’Imu. In Italia si è dovuto esentare i proprietari delle case occupate perché la proprietà immobiliare è decisamente poco tutelata. Sono almeno 50 mila le abitazioni occupate, si emettono circa 520 mila sentenze di sfratto ogni anno, ma l’esecuzione non avviene prima dei 12-24 mesi. È vero che esiste un problema abitativo, come dimostrano le manifestazione degli sfrattati; ma è del pari vero che, per fare un esempio, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri (come la Corte d’appello di Firenze), riconosce la residenza a chi occupa. Ciò che spesso si tace, poi, è che la direttiva prevede misure sanzionatorie. Non si può affittare se non si hanno i requisiti energetici (già oggi chi affitta deve presentare l’Ape, la dichiarazione di conformità energetica) e, almeno in base all’ulteriore inasprimento del Parlamento europeo, non si potrebbe più vendere l’immobile non green dopo il 2030. Ciò ha già provocato scossoni sul mercato immobiliare. In base all’Uppi (l’Unione dei piccoli proprietari), il solo voto del Parlamento di Strasburgo porterà a una svalutazione degli edifici. Nomisma prevede un calo nelle compravendite (100 mila in meno quest’anno) e dei prezzi, se corretti, con il tasso d’inflazione di almeno il 4,8 per cento. La perdita di valore, secondo gli immobiliaristi, si aggira già attorno all’8 per cento. Siccome il patrimonio immobiliare italiano è stimato in 6 mila miliardi di euro, l’impatto psicologico della direttiva green varrebbe 480 miliardi! Cresce invece la cessione della «nuda proprietà»: più 22 per cento negli ultimi due anni, con il 74 per cento delle transazioni fatto da investitori. Alla lunga, chi non può adeguarsi venderà restando nell’appartamento.

Altro capitolo decisivo è quello dei mutui, già a rate stellari con le manovre sui tassi della Bce. L’Abi, l’associazione bancaria, ha dato un avvertimento. Il direttore generale Giovanni Sabatini ha chiarito: «L’applicazione della direttiva potrebbe mettere a rischio i finanziamenti e i mutui per le case meno performanti, il 60 per cento del patrimonio immobiliare». La ragione è presto detta: la direttiva obbliga gli istituti bancari a farla rispettare anche sulle case ipotecate date in garanzia dei mutui. «Questo» sostiene Sabatini «obbligherebbe le banche, nell’impossibilità di migliorare la qualità degli immobili già assunti in garanzia, a orientare le scelte di finanziamento verso immobili con migliori condizioni energetiche, riducendo le possibilità di accesso al credito. Perché non è detto che anche in presenza di contributi pubblici tutti abbiano la possibilità di sostenere gli interventi di adeguamento».

Se non è un esproprio per tutti gli italiani, è qualcosa che gli somiglia molto. © riproduzione riservata

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