Tanto tuonò che piovve. Il sospirato congresso leghista si svolgerà tra dieci giorni, sabato 24 giugno, probabilmente nella città di Padova, preferita per la sua centralità nella mappa veneta: così ha sentenziato Matteo Salvini, lesto ad accogliere la proposta dal giovane commissario Alberto Stefani, candidato alla segreteria al pari del veterano Roberto “Bulldog” Marcato e dell’inossidabile bossiano Franco Manzato.
Preceduta da settimane di sussurri e grida, la decisione spegne le polemiche serpeggianti circa un possibile slittamento autunnale – rinfocolate dopo l’espulsione di una dozzina di tesserati ribelli decretata da via Bellerio dopo il test amministrativo – ma nel Carroccio gli animi restano accesi e investono, anzitutto, il regolamento dell’assemblea che riserva il diritto di voto ai 420 delegati votati dagli iscritti e al centinaio di rappresentanti istituzionali (consiglieri regionali, parlamentari, eurodeputati, sindaci di capoluogo e presidenti di provincia) eletti sul territorio.
Questi ultimi, però, concorreranno alla scelta del leader solo se in regola con i versamenti “volontari” al partito: secondo indiscrezioni, parecchi risultano in arretrato con i contributi – il piatto piange per 370 mila euro – ma, tra accuse e smentite, ad oggi manca ancora un elenco ufficiale degli inadempienti destinati all’esclusione e il rischio di colpi bassi è dietro l’angolo.
Nel frattempo gli sfidanti affilano le armi. Stefani, sostenuto dai colonnelli salviniani Massimo Bitonci e Lorenzo Fontana, lancia su Facebook il suo manifesto articolato in quindici punti; che includono, en passant, la Giornata del militante (ogni venerdì il neo segretario incontra in sede attivisti, sindaci, amministratori), la scuola di formazione dei quadri, i tour dell’autonomia e delle infrastrutture con tappe in ogni provincia per illustrare l’iter del disegno di legge e dei provvedimenti del ministero, la festa regionale annuale e quelle provinciali dotate di “adeguati finanziamenti” al pari delle sezioni, i riconoscimenti ai “militanti storici”.
Con una strizzata d’occhio ai dirigenti di base, leggi ripristino dei rappresentanti d’area (ex circoscrizioni) e presenze degli istituzionali sul territorio concordate con i segretari di sezione per arginare le invasioni di campo. «Sogno una Liga Veneta moderna, coraggiosa, lungimirante, che sia di traino al centrodestra» le sue parole.
Sul fronte opposto, Marcato rilancia la sfida federalista e identitaria che a luglio lo vedrà sul palco della Prima festa dei Popoli del Nord promossa a Ponti sul Mincio dalla corrente Autonomia e libertà capeggiata dall’ex ministro guardasigilli Roberto Castelli.
Il Bulldog serra le fila, non nasconde l’ambizione di conquistare il timone della Lega e tende la mano a Manzato e alla cordata trevigiana (Gian Paolo Gobbo, Dimitri Coin, Gianantonio Da Re) che contesta lo “strapotere padovano” simboleggiato da Bitonci, in nome della storica centralità trevigiana in seno al movimento.
La convergenza degli oppositori, tuttavia, non appare per nulla scontata e all’ipotesi di passi indietro o corsa in ticket per favorire l’emergere di un outsider vincente, Marcato replica con un secco rifiuto: «Io vado avanti per la mia strada, se qualcuno ha credenziali migliori delle mie sul piano della militanza, si faccia avanti. Ma non ne vedo moltissimi in giro…».