Un caso al giorno per ottenere visibilità. La sinistra rende omaggio ancora una volta al politicamente corretto che lede la libertà di espressione e stavolta nel mirino finisce Luca Barbareschi. Arriva infatti una lettera alla presidente Rai Marinella Soldi in cui due consiglieri del Cda, Riccardo Laganà (indipendente) e Francesca Bria (area Pd) chiedono di fermare la seconda stagione del programma di Barbareschi “In barba a tutto“.
Il motivo è un’intervista rilasciata a inizio maggio da Barbareschi a Repubblica in cui l’attore e produttore sostiene, riferendosi alle attrici di Amleta, l’associazione che lotta contro la violenza di genere nel mondo dello spettacolo nota come il movimento “Metoo” italiano, che «le attrici che denunciano molestie cercano pubblicità». Un’opinione e non certo un reato. Che però dovrebbe, secondo le richieste contenute nella lettera, essere sufficiente per far cancellare addirittura un programma.
Nella lettera Bria e Laganà – come si legge sul sito del Corriere – non chiedono solo lo stop del programma in seconda serata su Rai Tre ma anche che il budget previsto sia destinato a un altro programma contro la violenza sulle donne, un tema che «va affrontato in maniera prioritaria nel nostro Paese».
Ecco cosa aveva affermato Luca Barbareschi nell’intervista a Repubblica: «Sul vostro giornale c’è stata una serie a puntate di molestate finte, alcune le ho avute a teatro. A me viene da ridere, perché alcune di queste non sono state molestate, o sono state approcciate in maniera blanda. Altre andrebbero denunciate per quando si son presentate sedendo a gambe larghe: “Ciao che film è questo?”. Non ho mai avuto bisogno di fare trucchi per scopare, ho detto: “Amore chiudi le gambe, interessante, ma ora parliamo di lavoro”. Succede anche questo. E secondo me Amleta dovrebbe riguardare un campo più largo. Il problema delle molestie è generale, riguarda la commessa del negozio che deve subire per non perdere il posto. Deve cambiare. Ho quattro figli e voglio che siano liberi e non subiscano mai. Sono stato un bambino molestato, da otto a undici anni. I preti gesuiti, a Milano, mi chiudevano in una stanza, uno mi teneva fermo e l’altro mi violentava».
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