GORIZIA Un corridoio internazionale delimitato da due reti: la strada del Monte Sabotino è la figlia povera di quello che fu il confine italo-jugoslavo, ma da brutto anatroccolo potrebbe trasformarsi in un bellissimo cigno bianco. Il potenziale turistico c’è tutto, bisogna solo capire come valorizzarlo. Per farlo ci vuole solo la volontà politica, perché la sostanza è già tutta lì.
Chi frequenta il monte Sabotino conosce la bellezza naturalistica dell’area, ma il fascino della natura può coniugarsi alla perfezione anche con quello storico del Novecento, creando quel mix perfetto che piace ai visitatori affascinati dal tema del confine. Dopo la rimozione delle reti dalla Transalpina, questo corridoio simbolo della Guerra Fredda rimane a testimoniare quella che fu la separazione fisica tra il blocco orientale e quello occidentale.
Più a valle, in fondo a via Montesanto rimane un pezzo della rete della Transalpina e, attraversata la strada, c’è la rete che corre parallela al confine dietro a “Bepon” e di fronte alla Mostovna e che sale fino alla fonderia di Salcano. Poi c’è il confine che passa dietro a Villa De Nordis per andare giù verso il kayak club. Da qui si può risalire verso il Sabotino attraverso la nuova passerella e le nuove piste ciclabili alla scoperta di quello che è un vero e proprio unicum turistico.
La strada del Sabotino è figlia del Trattato di Osimo siglato nella 1975 dai governi di Roma e Belgrado. All’articolo 6 il documento stabiliva: “Le due parti confermano la loro volontà di sviluppare ulteriormente la loro cooperazione economica con l’obiettivo, in particolare, del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di frontiera dei due Paesi”. E proprio per migliorare le condizioni di vita della popolazione della Brda e collegare direttamente l’area agricola con quella urbana di Nova Gorica, nel 1980 venne iniziata la costruzione della strada internazionale che aveva i due imbocchi sul territorio jugoslavo, ma che passava su quello italiano. Per evitare sconfinamenti, a nord e a sud venne eretta una recinzione e intorno venne realizzata una strada di servizio con tre ponti lungo la quale passavano i mezzi militari di pattugliamento italiani. La Slovenia ereditò l’infrastruttura e la servitù di passaggio. Con l’ingresso di Lubiana nell’area Schengen i controlli sono venuti meno, ma la rete è rimasta al suo posto e oggi, correndo parallela a quel nastro d’asfalto da 1,6 chilometri, permette di tornare indietro nel tempo alla scoperta di una testimonianza della Guerra Fredda.
Le condizioni in cui si trova l’area sono buone e per valorizzarla basterebbero pochi sforzi. La sfida è, dunque, quella di mettere bene in evidenza le reti e fare in modo che il turista possa raggiungere l’area senza difficoltà. Se la storia viene raccontata bene, il successo è garantito.
